LA DISTANZA TRA NAPOLI E LA NAZIONALE

Tutto cominciò da quando un piccolo grande uomo, venuto dalla lontana Argentina, ci disse che per vincere avremmo dovuto lottare “contro tutto e contro tutti”. E’ da lì che il concetto di unicità del tifo per la squadra azzurra iniziò ad acquisire, in modo ben delineato, i contorni di una appartenenza che va molto al di là del semplice tifo sportivo. Si incominciano a delineare le fattezze di una vera e propria fusione di identità tra città e squadra.

Nell’estate del 1990, col Napoli che si è appena cucito il secondo scudetto sulle maglie, arrivano i mondiali in Italia. Diego Armando Maradona veste la casacca albiceleste dell’Argentina. A Napoli si giocherà la rovente semifinale tra Italia e Argentina. Maradona sa che le sue parole pesano come macigni e ricorda come Napoli città, ora, serve, è chiamata a raccolta per incitare gli azzurri di Azeglio Vicini, poi tornerà come sempre nel dimenticatoio.

Molti napoletani, pur amando il loro eroe, tifarono Italia. Il sogno di vincere un mondiale sul nostro territorio ebbe sostanzialmente la meglio. Poi Caniggia, battendo Zenga, fece riporre quel sogno nel cassetto dei ricordi.

L’Argentina è in finale con la Germania di Lothar Matthäus. Si gioca all’Olimpico di Roma. Alla cerimonia degli inni nazionali avviene qualcosa di veramente sgradevole, veramente raro a quei tempi. Al momento dell’inno nazionale argentino si leva una incredibile bordata di fischi e Maradona, visibilmente stizzito da tale offesa mostra tutto il suo disappunto che dal labiale lascia pochi dubbi: “hijos de puta” (che non ha bisogno di traduzione ndr). Molti di quei fischi, se non tutti, erano del pubblico italiano (non napoletani) presente allo stadio.

Ecco, a mio parere è da allora che inizia a delinearsi la frattura progressiva tra Napoli e la nazionale italiana di calcio. Da quei due eventi dove, da una parte, l’eroe degli scudetti (e dell’allora Coppa UEFA) non ti chiede di “tradire” (il virgolettato è d’obbligo, a scanso di equivoci ndr) la tua nazionale ma di rispettare chi ti ha portato alla gloria. Dall’altra parte quello stesso eroe, al quale noi vorremo sempre un gran bene, gratuitamente offeso nel momento dell’intoccabilità (o almeno così si pensava fino allora) del proprio inno nazionale ci ha fatto male. È stato come un colpo vigliacco assestato per mortificare il fuoriclasse, il genio che è riuscito a portare la vittoria in quel Sud sempre svantaggiato. Ruota di scorta quando non addirittura “parente scomodo”.

E così, negli anni, abbiamo assistito all’inno nazionale italiano fischiato al San Paolo e ad un progressivo disinteresse nei confronti dell’azzurro “non-napoletano”. Frutto anche delle solite scelte “federali” di convocare Tizio e non Sempronio, perché Tizio appartiene a… Oppure di far giocare quello, a costo di perdere una qualificazione mondiale, e non far entrare quell’altro, nonostante pure la panchina te lo ha suggerito a pieni polmoni. E poi al mondiale non ci si è andati.

Insomma, la parte del Paese non-napoletana si scandalizza quasi se noi, magari si tifa Belgio, Argentina, Brasile, Senegal ma non Italia.

E allora continuate a scandalizzarvi e a rifiutarvi di capire. E intanto il solco si allarga.

Contenti voi…

Giulio Ceraldi

#ForzaNapoliSempre

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