Arrivederci Dries Mertens

Tra l’errore e l’orrore delle scelte (non) fatte, alla fine il video dell’addio è arrivato.
Sembrava di essere sempre lì.. lì.. in queste settimane, in bilico in attesa della notizia che, qualche piccola parte della mia rete neurale si ostinava a non voler accettare: “Dries Mertens va via”.
Sì, perché fino alla fine.. fino alla visione di questo maledetto tenerissimo video, c’era sempre una flebile speranza che il tutto si potesse “apparare” e invece, i signori che fanno affari, hanno preferito interrompere e lasciar andare via quel campione che è Dries Mertens.
Il video è un’opera di cuore e comunicazione incredibile e, ancora una volta, Dries insegna: “guarda Presidè come si comunica con il mio popolo!”
Eh già.. perché se ancora non si fosse capito, quel Mertens in bianco e nero con tanto di figlio (Ciro), in braccio rimarca subito le cose come stanno: “Cari Napoletani, concittadini miei!” (con tanto di traduzione in inglese allegata sotto).
Mertens guarda fisso nell’obiettivo, parla con me con Mario, con Rita, con Francesco e Gennaro..
Parla con chiunque voglia ascoltarlo e usa una delle immagini più partenopee che possa esserci: genitore e figlio.
“Le persone e la città rimarranno nel mio cuore, sono molto orgoglioso che mio figlio Ciro sia nato a Napoli e quando andrà in giro per il mondo sarà sempre un napoletano, io non sono nato qua come lui (…) ma sappiamo tutti che la città è diventata parte del mio sangue”
Quel “grazie e arrivederci”, detto con la delicatezza e la pacatezza che da sempre Dries esprime nelle parole, fanno bruciare qualcosa dentro e si situano come un buco enorme, una lacerazione gigante che sarà difficile da colmare o riparare (e no, non basterà il solito presunto e sconosciuto campione, a riparare il danno).
Non faccio affari, io, né per lavoro né per diletto; non saprei come fare a “tesorizzare” né troverei quest’attività entusiasmante.
Non accumulo il famoso vile denaro, ma da ieri sera ho ancora di più una certezza.
Il calcio non può essere (e non è necessariamente) solo questione di soldi, non è affari o economia. Il calcio è (o dovrebbe essere) prima di tutto una questione di cuore e passione.
Il pallone è simbolo di libertà, in tutto il mondo, da sempre.
I campioni non sono quelli che diventano brand di se stessi ma quelli che come Dries, oltre al campo, si sono spesi per la collettività, senza fare rumore.
Napoli è una realtà stanca di essere solo sedotta, analogamente alle amanti cui prometti.. prometti.. riempi la testa di cazzate (al quale finisci inevitabilmente per credere), salvo poi dire “hey.. io non ti ho promesso niente!”
Mertens ha amato Napoli e Napoli lo ha amato alla follia perché come nelle migliori storie d’amore, ci si riconosce senza nemmeno dirselo.
Ve lo ricordate quel piccolo belga che all’improvviso si è messo a fare la limonata in un chiosco in centro città? Oppure quello che ha noleggiato il motorino e insieme alla moglie guidava cantando a squarciagola?
Ricordo, oggi, le prime partite del piccolo Mertens… Era una vita fa, se ripenso a come e cosa facevo io all’epoca.
Poi Mertens è cresciuto, così è cresciuto anche il Napoli e noi tifosi che chissà che cosa ci eravamo messi in testa.
Il problema è che il tifoso del Napoli cade sempre sulla stessa cosa: il cuore.
Vogliamo vincere, ci arrabbiamo, vogliamo quella cosa lì.. poi alla fin fine.. davanti un video di pochissimi minuti, le immagini dei cori, il tabellone che segna la vittoria, finisce che la notte non si dorme e si pensa:
“Tieni ragione Dries… e quanto ci siamo divertiti!”

Giusi Di Maio

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