Tra presenza e assenza Il vuoto dagli spalti del desiderio

Lo stadio è quasi vuoto. Bucato.

Immagina: hai tutti I riflettori puntanti addosso, sudi.. cerchi di mantenere il ritmo del respiro costante… il cuore fa “bum..bum..bum..” sei lì… con un piede ancora fuori e uno quasi sul rettangolo verde che profuma di sfida.


Alzi lo sguardo, giri il volto e nulla (o quasi): gli spalti sono “bucati”.

Il pubblico è -quasi- assente.

Cosa sta succedendo?

Con il termine mancanza si indica qualcosa che non c’è, qualcosa di negativo; si indica al contempo qualcosa che -certo non c’è- ma potrebbe esserci. Questo spazio di mancanza, in termini psicologici, può essere colmato soltanto dal desiderio.

La mancanza permette -in sostanza- la nascita del desiderio.

Che c’entra quanto detto con il nostro rettangolo verde dei desideri, della sfida, dei sogni?

Il momento storico che stiamo vivendo è molto complesso; tale complessità affonda le sue radici in qualcosa che era presente già prima della pandemia. Lo stesso calo degli spettatori allo stadio, era materia già nota.

Le scuse (che poi mica sono tanto tali… mezzi di trasporto inefficienti/insufficienti vi dice niente?), per giustificare l’assenza dagli spalti del desiderio, si sono sempre sprecate.

A tutti sarà capitato di buttare qualche parola poco elegante quando era ammassato nella metropolitana per andare allo stadio, quando era in fila ai mille controlli ai tornelli, quando aveva la borsa tastata per scoprirne all’interno strani contenuti…

Però – siamo onesti – quando vedevamo quel verde brillante (che nessuna televisione “ipertecnologica” può rendere al 100%) del rettangolo, misto all’odore dello sport, le magliette dei calciatori, la cazzimma nello sguardo dell’atleta, il tifo di chi ti è vicino, ma quanto ci dimenticavamo di tutto il resto?

Sembra un pò la descrizione che fanno le donne di certi parti: tanta sofferenza per arrivare ad un momento di estremo godimento e gioia: la nascita.

Ed è qui, allora, che forse nasce un tifoso vero.

Nasce nel contatto, nella presenza e nella vicinanza alla sua squadra.

Nasce – forse – un tifoso nell’attestazione del suo desiderio, nel riprendersi quello spazio che si deve e che deve; uno spazio lì, al seguito della sua squadra di cui lui ha bisogno per sognare e di cui lei, la squadra, ha bisogno per lottare, per spingere, per esserci.

Perchè se, come diceva lo psicoanalista francese Jacques Lacan, Il desiderio emerge in relazione al desiderio dell’Altro, il desiderio di quel riconoscimento che ci fa dire “io ci sono”, allora il tifoso e la squadra hanno bisogno di quel reciproco riconoscimento che li attesta come presenza in quel registro del reale (e non più dell’immaginario o del simbolico), dove si poteva solo – forse – immaginare.


I tifosi (e la squadra) hanno bisogno di presenza.

Sì… la presenza…

Esserci, significa diventare protagonisti dell’evento che si vive; significa prendersi la responsabilità della presenza e dell’essere in qualche modo attori attivi dell’evento che viviamo.

La presenza implica, invece, in chi è attore agonista protagonista dello spettacolo sportivo, la responsabilità delle proprie azioni sportive.

Probabilmente è un retaggio antico, legato alle prime relazioni conosciute, quei legami affettivi con i nostri genitori, con la nostra famiglia d’origine.

Noi ricerchiamo sin dall’infanzia legami autentici e relazioni rassicuranti. Guardiamo ad essi come riferimenti e li utilizziamo per crescere. In tal senso l’aspetto cognitivo ed emotivo legato alle rassicurazioni, al senso di protezione, alla motivazione, all’autostima, al riconoscimento, alle gratificazioni è quello che più ricerchiamo negli altri; come facevamo da piccoli.

I tifosi, con la loro presenza, rappresentano in qualche modo quei legami originari: rappresentano una sorta di famiglia adottiva allargata, che ama e vuole bene i suoi “figli”; che li supporta, che li coccola, che li incita, ma che allo stesso tempo può giudicarli e a volte punirli.

Allora perché i tifosi (famiglia adottiva dei calciatori) sembra si siano disamorati dei propri figli adottivi?

“L’assenza” di un genitore, nei riguardi dei propri figli, è spesso legata a conflitti emozionali interiori, spesso profondi e complessi, così intensi e dolorosi che sovvertono quel sentimento d’amore per i propri “figli”, fino a farlo diventare indifferenza.

L’amore e la passione sono sentimenti forti e implicano un grande investimento energetico.

Freud le chiamerebbe pulsioni di vita. Ma per investire sul proprio oggetto amore, bisogna necessariamente dare in pegno qualcosa di sé.

Chi ama diventa umile. Coloro che amano hanno, per così dire, dato in pegno una parte del loro narcisismo.” (Sigmund Freud)

Giusy Di Maio, Psicologa Clinica & Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta

Pallone & Psiche, rubrica nata dalla collaborazione de Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli con Il Pensiero Non Lineare Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia – a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi

Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!

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