
Maurizio Sarri è e resterà l’uomo che portò a Napoli il calcio più spumeggiante, sfrontato e sontuoso che si sia mai visto all’ombra del Vesuvio. Come bellezza l’unico che regge parzialmente il confronto è il Napoli di Luis Vinicio, nella prima metà degli anni settanta.
Ancora una volta, così come usava fare ai tempi del suo Napoli, è lui a rubare i riflettori. Il suo ritorno al San Paolo, da avversario, è la vera notizia degli ultimi giorni. Più della partita in sé che, per quanto i tentativi di caricarla di pathos resta l’incontro tra una squadra infarcita di campioni e sulla scia dell’ennesimo titolo e la squadra che quel titolo avrebbe dovuto contenderglielo, quest’anno, ed oggi si trova anch’essa in cima alla classifica, ma sulla colonna destra della stessa.
Certo, l’impresa con la Lazio in Coppa Italia cerca conferme in campionato ma i punti, realisticamente, si dovranno pretendere dal 3 febbraio in poi (match con la Samp) e non necessariamente da domani sera.
Sarri, dicevamo. Come lo accoglieranno i napoletani? Coi fischi, è logico. Ma saranno tutti fischi? Non lo so. Io credo che ci sarà chi gli batterà le mani. Chi riconoscerà a quest’uomo, che non ha mai nascosto le sue (legittime) ambizioni di carriera, la gioia e l’orgoglio che ha portato nei nostri cuori. La fierezza di incutere timore a qualsiasi avversario incontrato in quei tre anni. La sensazione di potersela giocare con chiunque in una squadra che magicamente sembrava piena zeppa di fuoriclasse, almeno per i circa quattordici interpreti che ruotavano nell’undici titolare.
Non mi importa unirmi ai cori di disprezzo per quest’uomo. Nel momento in cui ha dismesso i panni di allenatore del Napoli è uscito dai miei “radar”. Soltanto un pizzico di curiosità nella sua avventura londinese. Poi basta. Questo, però non mi ha mai impedito di mantenere intatta la riconoscenza per la gioia che ha portato nei nostri cuori azzurri.
Anche sulla “versione di stati”, imposta quasi a mo’ di dogma dalla solita stampa “addomesticata” (la stessa che non ha esitato ad erigere la squadra a capro espiatorio dei fatti del 5 novembre ndr) riguardo alla dipartita di Sarri. Il “coro” recita che sia stato l’uomo di Figline Valdarno a volersene andare. “Col prossimo contratto mi voglio arricchire” aveva detto in una occasione in conferenza stampa. Su questa frase i soliti ipocriti (dei quali il “Bel Paese” non è mai a corto ndr) hanno imbastito molta parte del “capo d’accusa” verso il tecnico che ha lasciato Napoli. Salvo poi ragionare sul rifiuto dei 7 milioni dello Zenit, la richiesta (negata, visto l’accordo già in essere con Ancelotti) di “tempi supplementari” e soprattutto la non-assicurazione di voler costruire una squadra ancora più forte della precedente, ormai arrivata al capolinea (e infatti così è stato, col successore) in molti dei suoi componenti. Un po’ quel che successe con Benitez ed il suo “business plan”. Niente di nuovo sotto il sole, insomma.
Le affermazioni rivoluzionarie fatte ai tempi del Napoli erano e restano valide, nel momento storico in cui furono pronunciate. Poi tutto passa. Né più e né meno come nella vita di molti di noi. Nati “incendiari” e finiti “pompieri”.
Personalmente, al fischio d’inizio, Maurizio Sarri e la sua Juventus saranno soltanto l’avversario da battere.
Nulla di più. Nulla di meno.
Giulio Ceraldi
#ForzaNapoliSempre