E così abbiamo finito, nella migliore delle ipotesi, per intossicarci la domenica sera.
D’altra parte le avvisaglie c’erano tutte. Addetti ai lavori (o presunti tali) a “tirare i piedi” col momento ideale degli azzurri per incontrare la capolista, il periodo non eccelso di Ronaldo e compagni ed altre “sviolinate” varie ed eventuali nei confronti della squadra di Ancelotti. Insomma, gli ingredienti per “attrezzare un grande malocchio” c’erano tutti, ma noi niente. Con la testardaggine tipica del mulo che s’impunta e di muoversi non ne vuole sapere così noi abbiamo preteso di battere quelli là semplicemente giocando a pallone. Così. Manco fossimo tornati magicamente alla notte di Torino del 22 aprile dell’anno passato.
Così.
Ma ieri era il 3 di marzo ed è già passato quasi un anno da quel partitone. E, nonostante la squadra sia (quasi) la stessa, la musica è completamente cambiata.
Oddio, i non-colorati giocavano una schifezza l’anno scorso e, nonostante lo strombazzatissimo CR7, adesso hanno fatto “l’aggiornamento”: mó giocano una chiavica.
Noi sembriamo alla costante ricerca dell’identità perduta. Avevamo un gioco, un modo di affrontare l’avversario. Adesso ogni partita è un rebus, a cominciare dalla formazione che scenderà in campo. Ma per carità. Siamo secondi e guai a buttare il bambino con tutta l’acqua sporca.
È solo che a volte mi sembra che, più che recitare uno spartito, ci barcameniamo tra la fase del “facciamo due passeggetti e se ci scappa tiriamo pure” e quella del “guagliú, facimm’ ammuina”!
Qualcuno direbbe che questa è una stagione interlocutoria, il nuovo mister deve inculcare bene i suoi dettami tattici e la vera trasformazione, pure con l’aiuto di nuovi arrivi e partenze, si avrà l’anno prossimo. E, soprattutto, non sputiamo su un secondo posto sul quale nessuno, alla vigilia, avrebbe scommesso un centesimo. E non ci piove. È così.
Però a me quell’Insigne che mi sbaglia per la seconda volta un rigore, proprio contro quelli là, consapevole anche del fatto che, se avesse gonfiato la “rezza” li avremmo, poi, “scamazzati”, proprio non mi va giù. Perdonami, Lorè. Ti voglio bene, ma quando giochi senza genio mi farebbe piacere che il tuo allenatore dimenticasse le gerarchie (che, alla fine, c’ha pure lui) e ti facesse sedere a chiacchierare coi tuoi compagni. In panchina.
E che cosa devo dire dell’espulsione di Meret?! C’è entrata di mezzo anche la metafisica, pur di motivare una semplice (consentitemi) puttanata dell’arbitro che poi, per “appararsi”, ci ha dato la soddisfazione di buttare fuori (undici mesi dopo la serataccia di San Siro) nientedimeno che Pjanic.
Addirittura un piacere anche più succulento, se possibile, del rigore stesso dato al Napoli.
Ma torniamo all’espulsione del nostro portiere. Avete visto le vigorose proteste degli azzurri per indurre l’arbitro a consultare la VAR? Io no (e manco voi). E sapete perché? Perché, a dispetto della (ingiusta) nomea della nostra città e di chi ci abita, la squadra del Napoli non ha “cazzimma”. È onesta. Rispetta le decisioni del direttore di gara. Non lo accerchia minacciosamente. Non è nelle sue corde. Noi giochiamo al calcio. Gli altri, nonostante i “tòpp’ pleierrr”, sanno fare soltanto una cosa: ‘mbruglià.
Giulio Ceraldi
#ForzaNapoliSempre