
Sono state giornate difficili per tutti i tifosi del Napoli.
Giornate avvelenate da una profonda delusione e da una rinnovata sensazione di sconforto e rabbia, legata a questo sentore di ennesimo “tradimento”.
Il tifoso mette, nella “relazione” con la propria squadra del cuore, un certo quantitativo di investimento “energetico” emotivo che viene alimentato dalle risposte sul campo della squadra, dai comportamenti che la stessa ha, dalle dichiarazioni dei protagonisti, dall’impegno, dal rispetto…
Insomma quella tifoso con la squadra è una relazione molto complessa.
Questa premessa per dire che non si può pretendere che i tifosi non abbiano reazioni emotive piatte. Il tifoso alimenta il suo amore per la maglia attraverso la passione e la passione per definizione stessa è mossa da emozioni e sentimenti forti e turbolenti.
Quindi non si dica che la profonda delusione dei tifosi del Napoli sia “inspiegabile”, “insensata”, “immotivata”, “esagerata”..
Le parole sono sassi, come recitava una canzone di Samuele Bersani di qualche anno fa, e bisogna usarle bene, fare molta attenzione al loro peso, al loro significato.
Quando si fanno certe dichiarazioni bisogna avere anche il coraggio di dire: “Ho sbagliato, scusatemi”.
I risultati devastanti di Empoli e ancor prima quelli in casa con Fiorentina e Roma, sono anche il risultato di parole mal dette (o maledette) e di una comunicazione apparentemente “malata”, da parte del nostro allenatore.
La sensazione, anche derivata dalle dichiarazioni post goleada contro il Sassuolo, è che la nebbia della confusione di quelle gare abbia alimentato una faticosa arrampicata sugli specchi.
Più o meno il senso delle dichiarazioni del nostro allenatore, anche in risposta alla lucida analisi di Mertens del post Sassuolo è: “Io il mio l’ho fatto, ho portato la squadra in Champions. Ho voluto alzare l’asticella, guardando allo scudetto, solo perché eravamo vicini e i tifosi lo volevano, ma non è colpa mia se la squadra è più debole delle squadre che ci precedono.
Poi è vero che abbiamo perso in casa contro le ultime in classifica e siamo usciti da tutte le competizioni in maniera pietosa, ma abbiamo fatto due/tre ottimi risultati fuori casa a Milano e a Bergamo, dove non si vinceva da tempo.
Da me che volete?
Poi Mertens che parla a fare, è colpa loro se abbiamo perso, e non è vero che siamo forti quanto gli altri…”.
Nel post Torino poi arriva la ciliegina sulla torta, una perla, oserei dire: “A voi interessa se il prossimo anno si vince lo scudetto o no. Non se i giocatori vengono ad allenarsi anche quando hanno il giorno libero. No, quello non vi interessa”.
Come sempre si sbagliano modi e tempi.
Probabilmente, in un momento diverso, questa dichiarazione sarebbe stata apprezzata ma ora non ha senso, è assolutamente fuori luogo…
Guardando al trittico di partite “incriminate” invece, si può fare un’osservazione interessante di carattere psicologico.
Il Napoli, probabilmente, è stato vittima di quello che in Psicologia si chiama Auto-sabotaggio.
In genere ci sabotiamo quando proponiamo a noi stessi aspettative irrealistiche, mirando al perfezionismo, ma partendo dal presupposto (probabilmente errato) che non siamo in grado di fare delle cose o che non siamo abbastanza capaci di farle. Quindi ci auto-sabotiamo per paura di fallire.
Quindi, volendo portare ad esempio ciò che è successo al Napoli, si potrebbe ipotizzare che se ad esempio Spalletti (ma questo vale anche per la piazza, giornalisti tifosi, ma anche presidente) parte dal presupposto (più o meno inconscio) che se non lo abbiamo fatto prima (vincere lo scudetto o competere per due tre competizioni contemporaneamente), non siamo in grado di farlo.
Quindi, nel momento più bello, quando pare che siamo veramente in grado di poter raggiungere quell’obiettivo, ci auto-sabotiamo, per paura di fallire. Come ad esempio è successo con le scelte poco felici sulle formazioni mandate in campo nelle partite “incriminate”, sulle sostituzioni e sui moduli adottati.
Si mettono, così, in atto comportamenti specifici, ossia: ci convinciamo che possiamo “vincere lo scudetto” solo se possiamo essere più forti di quelli sopra di noi o se possiamo avere dei giocatori “vincenti” ed esperti e poi mettiamo in atto strategie strane a favore del fallimento (come ad esempio levare un attaccante, mettere giocatori fuori ruolo, infortunati o poco in forma, rinunciare ad attaccare e a giocare o affidarsi ad un modulo completamente inadatto ai propri giocatori e palesemente con poca resa).
Probabilmente, come Napoli, ci sabotiamo perché preferiamo la certezza e la prevedibilità rispetto all’ignoto e operiamo un auto-sabotaggio proprio perché pensiamo di non valere abbastanza per meritare lo scudetto.
Ci facciamo influenzare da false credenze, magari legate a pregiudizi sociali e sportivi negandoci il successo.
Se fosse questo il problema, allora la domanda è: siamo stati vittima del “pensiero sabotatore” della piazza, dei calciatori, dell’allenatore o del presidente?
O della commistione di tutti questi?
Giusy Di Maio, Psicologa Clinica, & Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta
Pallone & Psiche è una rubrica nata dalla collaborazione de Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli con Il Pensiero Non Lineare – Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia – a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi.
“Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”
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