LA METÀ VUOTA DEL BICCHIERE

Sapevi che il primo Matrix era stato progettato per essere un mondo umano perfetto? Dove nessuno avrebbe sofferto, dove tutti sarebbero stati felici. Fu stato un disastro. Nessuno accetto’ il programma. Interi raccolti andarono persi. Alcuni credevano che ci mancasse il linguaggio di programmazione per descrivere il vostro mondo perfetto. Io credo che, come specie, gli esseri umani riconoscano la loro realtà attraverso la sofferenza e la miseria.

Quello che vi ho appena proposto e’ l’inizio del dialogo tra il fantomatico agente Smith e Morpheus nel film The Matrix del 1999 (titolo originale, riproposto in Italia semplicemente come Matrix).

Per coloro i quali non conoscono la pellicola e tantomeno il dialogo succitato, Matrix e’ l’ipotetico oscuro futuro, immaginato da Lana and Lilly Wachowski, nel quale le macchine prendono il controllo del mondo relegando il genere umano a semplice “fonte di energia” (guardatevi il film e capirete di cosa parlo ndr).

Tornando al colloquio iniziale, ho sempre più l’impressione che, tra chi segue le vicende di campo del Napoli, ci sia una sempre più crescente categoria di persone che, pur in momenti esaltanti, positivi e che lasciano ben sperare per l’immediato, riescono sempre a trovare il modo di vedere il lato oscuro delle cose.

La metà vuota del bicchiere.

Ora, ho scelto di aprire il mio pezzo con l’inciso sul film di fantascienza di cui sopra, perché credo che difficilmente una pellicola cinematografica di questo genere abbia mai avuto, in precedenza, così tanti riferimenti di carattere psicologico come il primo The Matrix.

Connotati psicologici che si sposano alla perfezione (quelli dell’abitudine ad un mondo fatto di sofferenze) con chi proprio non riesce a godere nemmeno dell‘attimo fuggente (citazioni a gogò in queste mie righe, lo so ndr) di una serata bellissima come quella di Europa League dovendo rimarcare in fila indiana le pecche di una squadra azzurra “eterna incompiuta”, eccetera, eccetera, eccetera…

E ancora (questo lo noto da amministratore di una pagina social), noto sempre, in periodi di vento in poppa della squadra, una sostanziale flessione nel volume di interazione dei lettori (vento in poppa della squadra = bonaccia tra i commenti dei lettori ndr). Ciò in totale contrasto con quando le cose vanno a rotta di collo (vedi, ad esempio, i periodi neri delle gestioni Ancelotti e Gattuso). Allora, come per incanto, molti dei “soliti noti” ritrovano la verve e si sperticano in giudizi tranchant “modello-cassazione“.

Ora, al di là del trattamento poi riservato a queste persone dal sottoscritto, in qualità di amministratore, basato sulla valutazione del tono becero o meno dei commenti stessi, la preoccupazione (…) sullo stato di salute mentale di certi individui cresce in modo direttamente proporzionale alle castronerie che gli stessi scrivono.

Conseguentemente, mi domando se la passione sportiva, il senso di appartenenza, l’amore per i colori azzurri non siano per alcuni solamente una scusa o, peggio, uno strumento per canalizzare lo sfogo a frustrazioni che nulla hanno a che fare col pallone ma che affondano le radici in ben altri ambiti dell’esistenza di queste persone.

Quindi, mi rendo conto che il Panem et circenses degli antichi Romani resta una brillante intuizione sul carattere delle moltitudini, ma è pur vero che, se da una parte l’invito a mangiarvi un’emozione di una vittoria o in generale di una bella partita, anziché criticare sempre a prescindere, sarà sempre l’incipit a queste latitudini, lo sarà ancor di più l’invito, sincero e disinteressato, a farvi una vita al di fuori della tastiera dalla quale, moderni Soloni, sputate sentenze.

Il mondo, quello vero, è lì fuori e non aspetta nessuno.

Il tempo è qualcosa di troppo prezioso per sprecarlo soltanto a sputare rabbia.

Quindi, fate pace con voi stessi ché la vita è bella.

Giulio Ceraldi

#ForzaNapoliSempre

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