
La notizia, lanciata da Repubblica, di Xavi come Piano B dei partenopei, nel caso Conte andasse via, ha i contorni dello psicodramma perfetto. Il Napoli, Campione d’Italia in carica per la seconda volta in tre anni, è una corazzata che scricchiola. Non nei risultati, ma nel cuore della macchina. Antonio Conte, l’architetto del trionfo, è descritto come “furioso”, lo spogliatoio è “tossico” e il club vive nel terrore di un’altra implosione post-Scudetto, proprio come quella seguita all’addio di Spalletti.
In questo clima da “tutti contro tutti”, con Conte che non presiede agli allenamenti fino alla prossima settimana, emerge il “Piano B” di Aurelio De Laurentiis: Xavier Hernández Creus. Xavi.
È una mossa che, a prima vista, ha una sua logica emotiva. Stanchi del pragmatismo incendiario, dell’intensità abrasiva e della gestione “tossica” di Conte, si fugge verso l’opposto: l’idealismo, il “bel gioco”, l’uomo-simbolo di un calcio identitario. È la fuga dal fuoco cercando rifugio nell’acqua.
Ma un’analisi strategica più fredda, che va oltre l’etichetta, rivela una verità terrificante: Xavi non è la soluzione al problema di Conte. È lo stesso identico problema, avvolto in una bandiera diversa. E, tatticamente, sarebbe un rigetto sistemico per una squadra costruita con centinaia di milioni per scopi diametralmente opposti.
Il cortocircuito tattico: Chiedere a De Bruyne di fare Gavi
Il problema più evidente è quello tecnico. Il Napoli dell’estate 2025 è stato costruito per vincere alla Conte. Gli acquisti di Kevin de Bruyne, Noa Lang e Sam Beukema non sono stati fatti per il “juego de posición”. Sono stati fatti per la fisicità, la verticalità, l’attacco all’area.
La filosofia di Conte a Napoli è un sistema pragmatico, un 4-2-3-1 o 4-3-3 che usa la potenza e la profondità di Rasmus Højlund come riferimento, in attesa del pieno recupero di Romelu Lukaku, e che si fonda sulla visione verticale di De Bruyne per lanciare. È un calcio diretto, fisico, intenso.
Ora, immaginate di consegnare questa macchina da guerra pragmatica a Xavi.
Il calcio di Xavi è un dogma religioso: 4-3-3, possesso palla come principio morale, costruzione di una ragnatela di passaggi per trovare il “terzo uomo”. Le sue squadre si muovono in un 3-2-5 offensivo, con i centrocampisti (“interiori”) che devono muoversi negli spazi giusti e i terzini che si trasformano in mezzali.
Cosa significa questo, in pratica? Significa chiedere a Rasmus Højlund, un attaccante definito dalla sua velocità e dall’attacco allo spazio, di smettere di essere un finalizzatore verticale e di agire da “falso 9” associativo. Significa costringere un giocatore fisico a giocare primariamente corto, per il controllo posizionale.
Lo stesso Robert Lewandowski, un centravanti di riferimento, si è lamentato pubblicamente delle tattiche di Xavi, sostenendo di “non avere abbastanza occasioni” perché il sistema non era abbastanza offensivo o diretto per lui. È facile immaginare Højlund – e un domani Lukaku, un profilo simile per fisicità – vivere la stessa frustrazione, abituati come sono al calcio verticale di Conte.
Ma il vero cortocircuito non è nemmeno la punta. È Kevin De Bruyne. Il sistema di Xavi è “rigido”, basato sull’occupazione posizionale. Richiede “interiori” che rispettino le griglie. De Bruyne è l’antitesi: è caos creativo, è verticalità. Chiedergli di giocare “posizionale” sarebbe uno spreco tecnico e tattico.
La debolezza tattica: Un sistema fragile
Ma andiamo oltre. Ammettiamo che Xavi riesca a “rieducare” la squadra. Ci si schianterebbe contro le debolezze strutturali del suo calcio. L’ultima stagione al Barcellona ha mostrato tutti i limiti di un sistema ad altissimo rischio.
Mancanza di fisicità: Il suo calcio soffre contro squadre fisiche. In Serie A, sarebbe un problema cronico.
Transizioni letali: Il pressing alto e la difesa uno-contro-uno lasciano parecchi spazi a centrocampo. Se la prima pressione fallisce, la squadra è spezzata in due.
Terzini BUCATI: I suoi terzini sono ali aggiunte. Il problema è che, come visto con Balde e Cancelo, fanno fatica a dare la diagonale, lasciando i difensori centrali esposti.
Il calcio di Xavi è fragile. Funziona solo al 100% della concentrazione e della disciplina. Se scende al 90%, crolla. E qui arriviamo al vero cuore del problema.
L’ironia manageriale: Il vero problema di Xavi
Torniamo al punto di partenza. Il Napoli ha paura di un allenatore (Conte) che, dopo aver vinto, crea un ambiente “tossico”, perde lo spogliatoio e minaccia un collasso post-vittoria.
Sapete chi altro ha appena fatto la stessa, identica cosa? Xavi Hernández.
Il curriculum di Xavi è chiaro: è un costruttore eccellente. Lo ha fatto all’Al-Sadd e lo ha fatto al Barcellona, prendendo un club al nono posto e portandolo a vincere La Liga (2022-23). Ma il giorno dopo la vittoria, è iniziato il disastro.
La stagione 2023-24 del Barcellona è stata un caos manageriale culminato in un licenziamento farsesco (prima si dimette, poi ci ripensa, poi Laporta lo licenzia settimane dopo averlo confermato).
Ma perché è crollato? Ce lo ha detto lui stesso.
In una recente conferenza, Xavi ha confessato il suo “errore” fatale. Ha ammesso che, dopo aver vinto La Liga, ha “abbassato quegli standard elevati” che aveva imposto. Ha confessato che i giocatori hanno perso “rispetto” e “sforzo”. Ha ammesso, in sintesi, di aver “perso il controllo dello spogliatoio” proprio perché non ha saputo gestire la vittoria.
Rileggete l’ultimo paragrafo. È esattamente il problema che De Laurentiis sta cercando di risolvere.
Il presidente, terrorizzato dall’idea di un collasso gestionale post-Scudetto, sta pensando di sostituire un allenatore problematico (Conte) con l’unico altro allenatore d’élite in Europa che ha appena dimostrato e confessato di avere la stessa identica vulnerabilità manageriale.
Il fallimento tattico del suo ultimo Barcellona è stato una diretta conseguenza di questo fallimento di leadership.
Scegliere Xavi non sarebbe un “Piano B”. Sarebbe un’overcorrection strategica. Sarebbe il sintomo di un club che reagisce a un brand (l’idealismo del “bel gioco”) senza fare una due diligence manageriale. Xavi è l’allenatore identitario per eccellenza, ma ha dimostrato che l’identità da sola non basta per gestire uno spogliatoio di campioni.
Per il Napoli, oggi, Xavi non è l’antidoto. È solo un modo più elegante per accelerare verso quel collasso che tutti, a Castel Volturno, stanno cercando disperatamente di evitare.
E l’alternativa Terzić? Un’analisi del rischio
Se Xavi è un “idealista” che replicherebbe il fallimento gestionale di Conte, altri potrebbero guardare a un profilo diverso tra gli svincolati: Edin Terzić. È un nome logico: giovane (43 anni), reduce da un’impresa straordinaria (la finale di Champions League con il Borussia Dortmund) ed è attualmente libero, avendo lasciato il club nel giugno 2024.
Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela che Terzić, purtroppo, incarna lo stesso identico, fatale difetto di Antonio Conte, rendendolo un’altra scelta ad altissimo rischio.
Il fallimento manageriale: Un altro “sergente” che perde lo spogliatoio
Il problema principale del Napoli è la necessità di un “guaritore” per uno spogliatoio “tossico”. La partenza di Terzić da Dortmund non è stata serena; è stata la conclusione di una stagione in cui, nonostante il successo europeo, ha perso lo spogliatoio. Le cronache sono inequivocabili: la sua uscita è stata legata a un “forte scontro” con il leader e veterano Mats Hummels, una situazione riassunta dai media tedeschi come: “O Hummels o Terzić”. Ma non si trattava solo di Hummels. Altri giocatori chiave come Füllkrug, Brandt e Kobel hanno perso fiducia in lui, esprimendo frustrazione. Proprio come Conte, Terzić è stato accusato di “dare la colpa alla squadra per non aver seguito il suo piano” e di non assumersi la responsabilità. Assumerlo significherebbe sostituire un allenatore che ha perso lo spogliatoio del Napoli con uno che ha appena perso quello del Dortmund per ragioni identiche.
Il paradosso tattico: Ideale in teoria, fallimentare in pratica
Sulla carta, la sua filosofia tattica sembra perfetta per il Napoli. Non è un dogmatico, ama il calcio verticale e le ripartenze veloci, un habitat naturale per Rasmus Højlund. Il suo sistema (4-2-3-1 o 4-3-3) e la sua enfasi sulla “fluidità individuale” sembrano ideali per liberare la creatività di Kevin De Bruyne.
Il problema? Il motivo per cui i giocatori del Dortmund si sono ribellati era proprio la tattica. La squadra ha criticato apertamente il suo approccio come eccessivamente “difensivo” e “pragmatico”. Le sue fasi di possesso nell’ultimo anno sono state descritte come “poco brillanti”, “prive di incisività” e quasi “abbandonate”.
Due rischi, stesso risultato
Se l’analisi di Xavi mostra un “idealista” che fallisce nella gestione del successo, l’analisi di Terzić mostra un “pragmatico” che fallisce nella gestione dei veterani.
Entrambi i candidati, seppur da percorsi opposti, finiscono per replicare il problema centrale di Conte: la perdita dello spogliatoio. Il Napoli non ha bisogno di un altro allenatore le cui tattiche, siano esse troppo rigide (Xavi) o troppo pragmatiche (Terzić), portino alla frustrazione e alla ribellione delle sue stelle. La ricerca di un “Piano B” deve continuare.
Giulio Ceraldi
Forza Napoli. Sempre.
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