
Quella andata in scena oggi al Dall’Ara non è stata una semplice sconfitta per il Napoli. Non è stato un incidente di percorso, né un pomeriggio sfortunato. È stata un’autopsia. Un 2-0 che, nei 90 minuti, ha esposto ogni singola crepa tecnica, tattica e mentale di una squadra che sembra aver smarrito la propria identità, e che, nei minuti successivi, ha generato un’esplosione atomica dalle parole del suo allenatore, Antonio Conte.
L’analisi di Bologna-Napoli non può prescindere da due momenti distinti ma inscindibili: il disastro tattico visto sul prato e la brutale, quasi disperata, onestà di Conte ai microfoni. È la storia di una squadra surclassata tatticamente da Vincenzo Italiano e processata pubblicamente dal proprio tecnico.
Una sconfitta annunciata
Per capire la portata della sconfitta, bisogna partire dalla fine, o meglio, dall’inizio della fine. Il Napoli è rimasto negli spogliatoi. Il Bologna di Vincenzo Italiano, fedele ai suoi principi, ha azzannato la partita con un’intensità che gli azzurri non hanno mai pareggiato.
Il crollo della ripresa: Dallinga e Lucumí
Il piano gara del Bologna era chiaro: pressing alto, aggressione sulle fonti di gioco e sfruttamento delle fasce. Il Napoli, al contrario, è apparso lento, prevedibile e tecnicamente deficitario.
Quella del Napoli non è stata una resa immediata, ma un crollo post-intervallo. Il primo tempo, come definito dal vice-allenatore rossoblů Niccolini, è stato “tattico” e bloccato, terminato a reti inviolate. Il disastro si è materializzato nella ripresa. La cronaca dei gol è un manifesto della superiorità del Bologna. Il vantaggio: un’azione manovrata che trova la difesa del Napoli posizionata male, passiva. Dallinga, lasciato colpevolmente libero nell’area piccola, non ha dovuto fare altro che appoggiare in rete un assist proveniente dalla corsia. Errore di marcatura, errore di lettura, mancanza di reattività.
Pochi minuti dopo, il raddoppio che chiude la partita. Su un calcio d’angolo, la difesa del Napoli mostra tutta la sua fragilità. Lucumí, non esattamente un gigante, stacca con una facilità imbarazzante, anticipando una difesa statica, quasi spettatrice. 2-0 in un lampo. La partita, di fatto, è finita lì.
Il dominio di Italiano e le pagelle dell’orrore
Da quel momento, è stato un monologo tattico di Vincenzo Italiano. La sua analisi (o meglio, quella del suo vice Niccolini, data la squalifica del tecnico) è stata lucida: il Bologna ha lavorato magnificamente nella fase di non possesso. Il pressing asfissiante e organizzato dei rossoblù ha mandato in cortocircuito il palleggio del Napoli.
Le criticità tecniche degli azzurri, impietosamente sottolineate dalle pagelle post-partita, sono state evidenti.
Costruzione dal basso inesistente: Lobotka, solitamente il metronomo, è stato sistematicamente schermato. I difensori, costretti a gestire il pallone sotto pressione, hanno commesso errori tecnici elementari.
Fasce Bloccate: Giocatori chiave come Di Lorenzo sono apparsi tra i peggiori in campo, in costante difficoltà. L’aggressività dei quinti del Bologna ha neutralizzato le corsie del Napoli, rendendo la squadra sterile e incapace di creare superiorità numerica. L’assenza di un vero “salta-uomo” come si vedeva nelle scorse stagioni è ora un nodo strutturale.
Mancanza di reazione: Il dato più preoccupante. Sotto di due gol, il Napoli non ha prodotto nulla. Nessun tiro pericoloso, nessuna reazione d’orgoglio, nessun cambio di ritmo. Una squadra piatta, vuota.
Mentre il Bologna giocava “a memoria”, il Napoli sembrava un insieme di undici solisti che non si conoscevano. La squadra di Italiano ha mostrato un’energia, un’organizzazione e una “fame” che, come vedremo, sono esattamente i temi toccati da Conte.
Il processo di Conte: “Non accompagno i morti”
Se la partita è stata un disastro tecnico, il post-partita è stato un terremoto psicologico. Antonio Conte non ha usato mezzi termini. Non ha cercato alibi. Ha puntato il dito, con una violenza verbale rara, contro l’unica cosa che un allenatore come lui non può tollerare: la mancanza di spirito.
Analizziamo le sue dichiarazioni chiave, perché sono più importanti del risultato stesso.
“Poca energia”
“Ho visto poca energia. Quando vedi poca energia, c’è poco da fare. La responsabilità è mia, ma oggi è difficile parlare di calcio.”
Questa è la connessione diretta con l’analisi tattica. Il Bologna di Italiano è una squadra che fa dell’energia il suo marchio di fabbrica. Il Napoli di Conte, oggi, ne è stato privo. Conte non ha parlato di errori tattici o di sfortuna; ha parlato di mancanza di vita. Un’accusa gravissima per un gruppo di atleti professionisti.
“Ognuno pensa al proprio orticello”
Questa è la frase che apre lo squarcio sulla presunta spaccatura interna.
“Vedo che c’è chi pensa troppo al proprio orticello, e questo non va bene. Nel calcio, o si ragiona da ‘noi’ o non si va da nessuna parte. Se qualcuno inizia a pensare da ‘io’, è l’inizio della fine.”
Conte sta dicendo, senza nominarli, che alcuni giocatori sono egoisti. Che antepongono la prestazione individuale (forse in vista del mercato, o per salvare la propria reputazione) al bene della squadra. È un’accusa di tradimento dei principi base dello spogliatoio.
Questo si lega all’analisi di osservatori esterni, come l’ex giocatore Pampa Sosa, che ha usato parole ancora più dure: “Si vede una squadra che vuole far fuori Conte”. Se il tecnico arriva a parlare di “orticello”, significa che percepisce un distacco, una mancanza di lealtà.
“Morti non ne voglio accompagnare”
Questa è l’apocalisse. L’ultimatum finale.
“Io posso essere il parafulmine, prendermi le colpe. Ma ho bisogno di gente viva. Morti non ne voglio accompagnare. Se devo accompagnare i morti al cimitero, non ci sto. Io sono qui per lavorare e vincere, ma ho bisogno di gente che mi segua, che abbia la mia stessa fame.”
Tradotto: chi non è con me, è contro di me, ed è fuori. Conte sta dicendo che la squadra, o una parte di essa, è “morta” psicologicamente e agonisticamente.
L’uso della parola “morti” non è casuale. È un termine che nel gergo contiano significa “privo di fuoco interiore”, “rassegnato”, “senza orgoglio”. È la cosa peggiore che si possa dire a un atleta.
Oltre la sconfitta, la rottura
Bologna-Napoli 2-0 non è una partita che si archivia con un’analisi video. È un punto di rottura.
Sul piano tecnico, ha dimostrato che il Napoli è una squadra tatticamente vulnerabile, incapace di reagire alle difficoltà e surclassata da un avversario (il Bologna) che ha mostrato tutto ciò che manca agli azzurri: idee chiare, organizzazione e intensità.
Sul piano psicologico, le parole di Conte sono un’ammissione di fallimento nella gestione del gruppo, o, peggio, un atto d’accusa verso giocatori che, a suo dire, hanno smesso di lottare. Parlare di “orticello” e “morti” a novembre significa che la frattura tra tecnico e spogliatoio è profonda, forse insanabile.
Oggi il Napoli non ha perso solo tre punti; ha forse perso la sua guida, o la sua guida ha perso la squadra. La domanda, ora, non è come il Napoli potrà migliorare tatticamente, ma se questo gruppo e questo allenatore hanno ancora la volontà reciproca di continuare a lavorare insieme.
Giulio Ceraldi
Forza Napoli. Sempre.
P.S. Per chi ha familiarità con la carriera di Conte, il déjà vu è molto simile. Le dichiarazioni post-Bologna non sono un semplice sfogo emotivo, ma l’attivazione di un protocollo di crisi pubblico quasi identico a quello che portò alla sua traumatica rottura con il Tottenham nel marzo 2023.
L’analisi comparativa mostra che i bersagli e la retorica sono gli stessi.
L’attacco ai giocatori (la mentalità):
Tottenham (2023): L’attacco fu al carattere. Conte li definì “giocatori egoisti” (‘selfish players’) che “non mettono il cuore”.
Napoli (2025): L’attacco è all’appagamento. Li accusa di essere “sazi”, “comodi” (‘comfortable’), “senza energia” e “senza entusiasmo”. L’accusa di aver fatto “il compitino” è la versione italiana di quella mancanza di “fuoco” che lamentava a Londra.
L’attacco alla cultura del club (la storia)
Tottenham (2023): Fu un attacco frontale e insanabile al DNA del club: “La storia del Tottenham è questa. Venti anni che c’è questo proprietario e non hanno mai vinto niente”.
Napoli (2025): È un avvertimento storico, più mirato ma ugualmente agghiacciante: “Non dobbiamo dimenticare che dopo il campionato precedente (quello vinto ndr) siamo arrivati decimi e questa potrebbe non essere stata una grande lezione”.
C’è, però, una differenza fondamentale che distingue i due episodi.
Al Tottenham, il suo discorso fu un’eulogia funebre, un atto di rottura cercato per forzare il licenziamento. La frase chiave fu: “Potete cambiare allenatore… ma la situazione non può cambiare. Credetemi”. Era la certificazione di un fallimento culturale.
A Napoli, il suo è un ultimatum, una brutale terapia d’urto. La frase chiave è un bivio: “O non sto facendo un buon lavoro io, o qualcuno non vuole ascoltarmi”. Se a Londra stava chiudendo la porta, a Napoli la sta sbattendo violentemente per vedere chi ha il coraggio di restare nella stanza.
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