
Se dovessimo scattare una fotografia istantanea di questo 2025 che sta per chiudersi la porta alle spalle, l’immagine sarebbe mossa, vibrante, quasi psichedelica. Un anno che per noi tifosi del Napoli è stato un ottovolante emotivo senza precedenti. Abbiamo iniziato con il cuore in gola e finiamo con il fiato sospeso, ma con una certezza stampata indelebile sul petto: quel triangolino tricolore che ci ricorda chi siamo. Siamo i Campioni d’Italia.
Ripercorrere gli articoli de Il Ciuccio sulla Maglia di questi dodici mesi significa sfogliare un romanzo di formazione calcistica. Abbiamo vissuto l’apoteosi, l’ambizione sfrenata di un mercato estivo da fantascienza, le cadute rovinose in Europa e la resilienza operaia in campionato. Ecco il nostro escursus su un anno che, nel bene e nel male, resterà nella storia.
Il sole di mezzanotte: L’estate dei campioni
La prima parte del 2025 è stata la dolce discesa dopo la scalata. Il blog raccontava un’estate diversa dalle altre: un’estate di orgoglio. Il Vesuvio non doveva più “fremere”, aveva già ruggito. Arrivare ad agosto con lo Scudetto cucito addosso ha cambiato la prospettiva di tutto. Non eravamo più gli sfidanti, eravamo la preda. E la società ha risposto con un mercato che ha fatto tremare i polsi.
Ricordate i giorni frenetici di fine agosto? Il 27 agosto scrivevamo: “Campioni d’Italia, a noi l’Europa!”. C’era la sensazione che il titolo nazionale fosse solo l’antipasto. L’arrivo di Kevin De Bruyne – un colpo che ha ridefinito il concetto di “ambizione” a Napoli – e l’acquisto last-minute di Rasmus Højlund dal Manchester United il 1° settembre, hanno trasformato l’entusiasmo in delirio.
L’arrivo del danese, in particolare, è stato raccontato come la mossa decisiva per dare a Conte quel mix di “potenza e profondità” che mancava. Habemus Rasmus, titolavamo. Un gigante di 1,91m pronto a raccogliere l’eredità pesante di un attacco che aveva bisogno di nuova linfa, specialmente con le incognite fisiche legate a Romelu Lukaku.
L’autunno del “Giano Bifronte”: La cura Conte
Ma il calcio, si sa, è crudele. Appena spenti i fuochi d’artificio del mercato, ci siamo scontrati con la realtà del campo. E qui è emersa quella che abbiamo definito la “Sindrome Partenopea”: un Napoli dalla doppia identità.
In Serie A, la squadra di Antonio Conte ha mostrato i muscoli. Una macchina da guerra pragmatica, capace di vincere anche quando non brilla. La vittoria in rimonta contro il Genoa a ottobre (2-1) o il recente successo “operaio” contro la Cremonese allo Zini (0-2) sono stati manifesti di resilienza. Abbiamo parlato della “Legge dello Zini” e di come Højlund, con la sua doppietta, si sia preso la scena mentre Lukaku era ai box. È un Napoli che sa soffrire, che si aggrappa al “cinismo” del suo allenatore, anche a costo di sacrificare l’estetica.
Tuttavia, il blog non ha nascosto le perplessità. In un editoriale di ottobre, ci chiedevamo: “Il Napoli di Conte è sintomo o causa della grande tristezza della Serie A?”. La piazza, sazia di vittorie ma affamata di bellezza, ha iniziato a mormorare. Il passaggio rigido tra il 4-1-4-1 e il 3-5-2, la “concretezza” esasperata contro l’ingenuità del bel gioco, ha creato una frattura filosofica. Vogliamo vincere o vogliamo divertirci? Conte ha risposto coi punti, ma il dibattito resta aperto.
La ferita europea: Il buio oltre il confine
Se in Italia abbiamo tenuto il passo, l’Europa è stata il nostro tallone d’Achille. La nuova Champions League a 36 squadre, che avevamo accolto come “stimolante” ad agosto, si è rivelata un percorso a ostacoli disseminato di trappole.
Il punto più basso lo abbiamo toccato il 21 ottobre a Eindhoven. Quel 6-2 contro il PSV non è stata una sconfitta, è stata un’umiliazione. “Anatomia di un tracollo”, scrivevamo, analizzando un’implosione tattica e mentale durata sette minuti di follia. Lì abbiamo visto i limiti di una rosa falcidiata dagli infortuni (Rrahmani, Lobotka e lo stesso Højlund fuori in momenti chiave) e forse, i limiti di un approccio tattico che in Europa fatica a imporsi.
Le sconfitte contro il Benfica (“incartati da Mourinho”) e il pareggio scialbo con l’Eintracht hanno messo la qualificazione appesa a un filo. Eppure, in mezzo al buio, c’è stata la luce della vittoria per 2-1 contro lo Sporting Lisbona al Maradona, firmata – neanche a dirlo – dall’accoppiata De Bruyne-Højlund. Un lampo di classe pura che ci ha ricordato cosa questa squadra potrebbe essere se trovasse continuità.
Il derby del sole e la sfida infinita
Il 2025 ci ha regalato anche una nuova rivalità infuocata. La Roma di Gasperini è diventata la nostra antagonista principale. L’articolo sul “Derby del Sole” di novembre descriveva non solo una partita, ma uno scontro di filosofie: l’intensità “a tutto campo” dei giallorossi contro la “resistenza” di Conte. Essere campioni significa anche questo: dover respingere assalti che arrivano da ogni parte, con una Roma che non gioca più d’attesa ma aggredisce la vita e il campionato.
Il dicembre della redenzione: Il deserto ci restituisce il sorriso
E poi, quando tutto sembrava perduto, è arrivato dicembre. Il mese della verità. Prima la Supercoppa Italiana a Riyadh, che si è trasformata nel teatro della nostra vendetta.
La semifinale contro il Milan (vinta il 18 dicembre) ci ha ridato Rasmus Højlund: il “Leone” che ha devastato la difesa rossonera, dimostrando che con lui in campo la musica cambia.
Ma l’apoteosi è arrivata il 22 dicembre, nella finale contro il Bologna. Quel 2-0 non è stato solo un trofeo, ma un “messaggio in ceralacca azzurra” al campionato. La doppietta di David Neres, con quella sua “gioia rabbiosa”, ha cancellato i fantasmi del Dall’Ara. Abbiamo vinto da “Ciuccio”: soffrendo, resistendo, e colpendo al cuore.
Speranze per il 2026: Cosa ci aspetta?
Ora, mentre il 2025 sfuma, guardiamo al futuro con un misto di ansia e speranza. Cosa chiediamo al nuovo anno?
La rinascita di Rasmus e la gestione di Romelu: Le speranze offensive passano dai piedi del giovane danese. Il 2025 ci ha detto che Højlund è il futuro, ma per vincere subito serve che diventi il presente assoluto, trasformando quella “furia” grezza in gol pesanti, come fatto a Cremona. E Lukaku? La speranza è di riaverlo come arma tattica devastante, non come rimpianto in infermeria.
Un’identità europea: Non possiamo accettare che il Napoli sia un leone in Italia e un agnello in Europa. La speranza per il 2026 è vedere la squadra scrollarsi di dosso la paura, sfruttare la classe di De Bruyne e McTominay (diventato un idolo per la sua grinta) per ribaltare un girone Champions nato male.
Il coraggio di cambiare: Forse la speranza più grande è rivolta alla panchina. Che il 2026 porti a Conte l’elasticità necessaria per mixare la sua proverbiale solidità con il talento smisurato che ha a disposizione. Abbiamo De Bruyne, abbiamo Neres, abbiamo giocatori che parlano la lingua del calcio spettacolo. È tempo di farli cantare insieme.
Il 2025 si chiude con il Napoli lassù, a lottare. Non è stato un anno perfetto, ma è stato un anno da Napoli: intenso, drammatico, glorioso. Siamo caduti a Eindhoven, ci siamo rialzati a Cremona. Abbiamo pianto di gioia in estate e di rabbia in autunno. Ma siamo ancora qui, con lo Scudetto sul petto, una Supercoppa Italiana e un 2026 tutto da scrivere.
Giulio Ceraldi
Forza Napoli. Sempre.
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