
Nel silenzio ovattato dell’Al-Awwal Park, rotto solo dai cori dei tifosi giunti dall’Italia, si è consumato qualcosa di più di una semplice finale. Quella andata in scena ieri sera non è stata solo la partita che ha consegnato la terza Supercoppa Italiana alla bacheca della SSC Napoli. È stata una dichiarazione d’intenti. Un messaggio spedito in busta chiusa e ceralacca azzurra a tutto il campionato di Serie A: il Napoli di Antonio Conte non è più un cantiere aperto. È una macchina da guerra finita, oliata e letale.
Il 2-0 inflitto al Bologna di Vincenzo Italiano è il risultato di una partita a scacchi vinta ancor prima che le pedine toccassero la scacchiera. Se cercavate la poesia del calcio, forse siete rimasti delusi. Ma se cercavate la prosa vincente, quella solida, pragmatica e spietata che porta i trofei a casa, allora avete assistito a un capolavoro.
Dalle macerie del Dall’Ara al trionfo nel deserto
Per capire la portata di questa vittoria, bisogna fare un passo indietro. Bisogna tornare a quel pomeriggio di novembre al Dall’Ara, quando il Bologna aveva impartito una lezione severissima agli azzurri, vincendo 2-0 e dominando sul piano del gioco. In quell’occasione, il Napoli era sembrato piccolo, confuso, incapace di uscire dalla ragnatela di passaggi dei rossoblù. Si parlava di “autopsia” di una squadra, di un Conte furioso negli spogliatoi.
Ieri sera, quella sconfitta è diventata la benzina nel motore azzurro. Matteo Politano lo ha detto chiaramente a fine gara: “Dopo il ko con il Bologna ci davano tutti per morti. Invece, con il silenzio e il lavoro, abbiamo dimostrato chi siamo”.
Antonio Conte ha lavorato sulla testa dei suoi giocatori, trasformando la frustrazione in una fame atavica. Ha preparato la partita non per “giocare meglio” del Bologna, ma per battere il Bologna. E la differenza, nel calcio che conta, sta tutta qui.
La cronaca di un massacro tattico
La partita è iniziata come molti si aspettavano: il Bologna a tenere il pallone, il Napoli a tenere il campo. Vincenzo Italiano, fedele alla sua filosofia fino all’autolesionismo, ha alzato la linea difensiva, portando i terzini Holm e Miranda quasi sulla linea degli attaccanti. Una scelta coraggiosa, esteticamente apprezzabile, ma terribilmente rischiosa contro chi ha in campo frecce come Neres e Hojlund.
Il primo tempo è stato un esercizio di pazienza per gli azzurri. Il Bologna palleggiava, cercava varchi, ma sbatteva costantemente contro il muro eretto da Amir Rrahmani, ieri sera in versione “Ministro della Difesa”, capace di annullare totalmente Santiago Castro.
Poi, al minuto 39, il lampo. Non un’azione corale, ma la giocata del singolo che spacca l’equilibrio. David Neres, l’uomo della provvidenza, ha ricevuto palla sulla trequarti. La difesa del Bologna, colpevolmente passiva, gli ha concesso quei due metri che a certi livelli sono una condanna a morte. Il brasiliano ha alzato la testa e ha disegnato un arcobaleno col mancino: palla all’incrocio, Ravaglia battuto, 1-0. Era il segnale che il piano stava funzionando: lasciare al Bologna l’illusione del controllo per poi colpire alla giugulare alla prima disattenzione.
Era il segnale che il piano stava funzionando: lasciare al Bologna l’illusione del controllo per poi colpire alla giugulare alla prima disattenzione.

Il “suicidio” sportivo del Bologna e il cinismo di Neres
Se il primo tempo si è chiuso con il vantaggio tecnico, la ripresa si è aperta con il trionfo psicologico del Napoli e il crollo nervoso del Bologna. È il minuto 57 quando si consuma il dramma sportivo che chiude la finale.
Il Bologna prova a costruire dal basso, un dogma per Italiano. La palla arriva a Federico Ravaglia. Il portiere, pressato, tenta un passaggio corto verso Lucumí. Una scelta scellerata in una finale, con la tensione che taglia le gambe. Il passaggio è “slack“, debole, impreciso.
David Neres non aspettava altro. Con l’istinto del predatore, anticipa il difensore, si ritrova solo davanti al portiere e, invece di calciare di potenza, lo beffa con un tocco sotto morbido, uno “scavetto” che è un misto di classe brasiliana e freddezza nordica. 2-0. Game, set, match.
In quel gol c’è tutta la differenza tra le due squadre: l’ingenuità di chi vuole essere bello a tutti i costi (Bologna) e la ferocia di chi vuole vincere (Napoli). Italiano a fine gara non ha potuto far altro che ammettere l’evidenza: “Siamo stati ingenui, contro queste squadre non puoi sbagliare nulla”.
I protagonisti: Chi sale e chi scende
In una serata così, le pagelle diventano quasi una sentenza.
L’MVP assoluto: David Neres (Voto 8.5). Non solo per la doppietta (che lo rende il miglior marcatore del Napoli nella storia della Supercoppa, superando miti come Careca e Higuain), ma per come ha interpretato la gara. È stato un incubo costante per la difesa rossoblù. È lui il simbolo di questo Napoli: talento puro messo al servizio di un sistema rigido.
Il guerriero: Rasmus Hojlund (Voto 7.5). Non ha segnato, ma ha fatto a sportellate per 90 minuti, tenendo impegnati due difensori da solo e aprendo autostrade per gli inserimenti dei compagni. Una prova di maturità impressionante per il giovane danese.
La delusione: Jhon Lucumí (Voto 4.0). Il difensore del Bologna è stato l’anello debole. Lento nelle letture, disastroso nell’occasione del secondo gol. Una serata da dimenticare che peserà sui suoi incubi per un po’.
Oltre la Coppa: Cosa significa per il campionato
Alzare la Supercoppa nel cielo di Riad non è solo una questione di bacheca. È un’iniezione di fiducia devastante per il prosieguo della stagione.
Il Napoli torna in Italia da terzo in classifica, a un solo punto dal Milan e due dall’Inter capolista. Ma torna con una consapevolezza nuova: quella di saper vincere le partite “sporche”, le finali, le gare senza domani.
Antonio Conte, che ha parlato di “buon Natale regalato ai tifosi”, sa che questo trofeo può essere la scintilla. Le rivali sono avvisate: il Napoli non è solo bello (quando vuole), è soprattutto solido. Ha tenuto la porta inviolata in una finale per la prima volta nella sua storia, un dato che fa tremare chi dovrà affrontare la difesa azzurra nelle prossime settimane.
Dall’altra parte, il Bologna deve leccarsi le ferite. La squadra di Italiano è bella, ma incompiuta. Arriva sempre a un passo dalla gloria per poi sciogliersi sul più bello, tradita dalla sua stessa ambizione di voler giocare sempre, anche quando servirebbe spazzare la palla in tribuna. Per diventare grandi, i rossoblù dovranno imparare a essere meno belli e più “cattivi”.
Il ritorno del Re
Alla fine, ha avuto ragione lui. Antonio Conte. Criticato, discusso per il suo gioco talvolta speculativo, ma tremendamente efficace. Ha preso un Napoli depresso e lo ha trasformato in una squadra capace di vincere un trofeo in quattro mesi.
Mentre Di Lorenzo alza la coppa e Neres balla con la medaglia al collo, il messaggio è chiaro: la festa è finita per gli altri. Il Napoli è tornato, e ha una fame spaventosa.
Giulio Ceraldi
Forza Napoli. Sempre.
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