
Se c’è un’immagine che riassume il pomeriggio grigio del Napoli al Bluenergy Stadium, non è il destro chirurgico di Jurgen Ekkelenkamp che ha deciso la partita. È piuttosto lo sguardo attonito di Rasmus Hojlund dopo aver spedito in curva un pallone che chiedeva solo di essere spinto in rete a porta vuota. In quel fotogramma c’è tutto il paradosso di una squadra costruita per vincere, ma che il 14 dicembre 2025 si è scoperta improvvisamente fragile, stanca e, per ammissione del suo stesso allenatore, “timorosa”.
La sconfitta per 1-0 contro l’Udinese non è solo un incidente di percorso statistico; è il momento in cui l’inerzia del campionato 2025/26 è cambiata, consegnando la vetta della classifica al Milan. Ma per capire come siamo arrivati a questo punto, bisogna riavvolgere il nastro e guardare oltre il semplice risultato.
L’infermeria come prima avversaria
Antonio Conte non ama cercare alibi, ma ignorare il bollettino medico con cui il Napoli si è presentato in Friuli sarebbe intellettualmente disonesto. La spina dorsale della squadra era rimasta a Castel Volturno: Kevin De Bruyne e Frank Anguissa fuori per lesioni muscolari, Romelu Lukaku ai box per un problema alla coscia, Gilmour operato per problemi di pubalgia e adesso Juan Jesus fermo per una botta al polpaccio.
Senza la regia del belga e la fisicità del camerunense, Conte ha dovuto chiedere gli straordinari a Scott McTominay — definito ormai un “highlander” per il minutaggio insostenibile — e adattare Elmas in una mediana a due che ha faticato terribilmente a fare filtro. La stanchezza, fisica e mentale, residuo della sconfitta europea contro il Benfica, era palpabile ancor prima del fischio d’inizio.
La trappola di Kosta Runjaic
Dall’altra parte del campo, Kosta Runjaic ha preparato un capolavoro tattico. L’allenatore dell’Udinese sapeva di non poter competere sul piano del palleggio puro, così ha scelto la via dell’intensità e del caos organizzato. Il suo 3-5-2 non è stato passivo, ma aggressivo: densità centrale per soffocare le linee di passaggio di un Napoli privo di Lobotka (inizialmente in panchina) e ripartenze fulminee affidate alla “follia” creativa di Zaniolo e alla fisicità di Davis.
Il primo tempo è scivolato via in uno stallo tattico, con il Napoli che teneva il pallone (55% di possesso finale) ma sbatteva costantemente contro il muro eretto da Kabasele e compagni di reparto. Lo 0-0 all’intervallo sembrava preludere a una ripresa di gestione, ma nessuno aveva fatto i conti con la variabile impazzita della partita: la paura.
Il thriller del VAR e la profezia di Conte
La ripresa si è trasformata in un film thriller. Al minuto 52, Davis segna. Lo stadio esplode, il Napoli trema, ma il VAR annulla per fuorigioco.
Al minuto 59, Piotrowski stampa un tiro clamoroso sulla traversa, dopo la deviazione provvidenziale di Milinković-Savić.
Al minuto 70, Zaniolo segna ancora. Altra esplosione di gioia, altro intervento del VAR: gol annullato per un fallo precedente su Lobotka.
Invece di trarre energia da questi pericoli scampati, il Napoli si è rimpicciolito. È qui che l’analisi di Antonio Conte nel post-partita diventa spietata e lucidissima: “Nel secondo tempo è subentrato un senso di timore… Noi ci siamo chiamati il gol”.
È una frase pesantissima. Conte ha descritto una squadra che, vedendosi graziata due volte dalla tecnologia, ha smesso di giocare per vincere e ha iniziato a giocare per non perdere. E nel calcio, come nella vita, la paura è una profezia che si autoavvera.
Il colpo del KO e i rimpianti finali
La sentenza è arrivata al 73′. Un’azione manovrata sulla sinistra, un inserimento perfetto di Ekkelenkamp alle spalle di una mediana ormai sfilacciata, e un destro a giro che non ha lasciato scampo al portiere azzurro.
L’1-0 ha costretto il Napoli a gettare il cuore oltre l’ostacolo, ma la serata era ormai stregata. Prima l’errore incredibile di Hojlund sotto porta, poi, al 93′, l’ultimo atto del dramma: Lorenzo Lucca, l’ex di turno, colpisce un palo esterno in spaccata che spegne le luci sulla partita e sulle speranze di pareggio.
Curioso il retroscena proprio su Lucca svelato da Runjaic nel post-gara: “È andato via senza salutarmi, non ha preso commiato da me… Ognuno deve pensare a quello che è meglio per sé”. Parole fredde che aggiungono un livello di tensione umana a una partita già elettrica.
Cosa cambia ora?
Il fischio finale di Sozza ha sancito una nuova realtà. Il Milan, pur pareggiando col Sassuolo, ringrazia e sorpassa: 32 punti per i rossoneri, 31 per il Napoli. L’Inter, con una partita in meno, è lì a 30 punti, pronta a rendere questa corsa scudetto una bagarre a tre.
Per Conte, il lavoro da fare non è tanto sulle gambe, quanto nella testa. “Mancano calciatori con carisma, bisogna ‘andare di mestiere’ per gestire le situazioni” ha tuonato il tecnico. Senza i suoi leader tecnici, il Napoli si è scoperto vulnerabile emotivamente.
La trasferta di Udine ci ha detto che questo campionato non avrà un padrone indiscusso. Ci ha detto che l’Udinese di Runjaic è una realtà solida e pericolosa. Ma soprattutto, ci ha ricordato che anche le corazzate, se private dei loro generali e attanagliate dalla paura, possono affondare.
La palla ora passa alla Supercoppa e alla riapertura dell’infermeria. Perché per vincere lo Scudetto, il Napoli dovrà smettere di “chiamarsi” i gol avversari e ricominciare a segnare i propri.
Giulio Ceraldi
Forza Napoli. Sempre.
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