
Novembre 2025 verrà ricordato come il mese della grande schizofrenia sportiva italiana. Se aveste avuto un telecomando in mano la sera del 16 novembre, avreste potuto fare zapping tra due realtà parallele, separate non solo da qualche centinaio di chilometri, ma da anni luce di programmazione e visione.
A Torino, all’Inalpi Arena, Jannik Sinner dominava le ATP Finals, confermandosi numero uno del mondo e trascinando un movimento che non ha eguali nella nostra storia. A Milano, nella “Scala del calcio” di San Siro, la Nazionale di Gennaro Gattuso veniva umiliata per 1-4 dalla Norvegia di Haaland, condannandoci all’ennesimo, terrificante purgatorio dei playoff per i Mondiali 2026.
Com’è possibile che lo stesso Paese, con la stessa cultura sportiva, produca contemporaneamente l’eccellenza assoluta in una disciplina e un declino inarrestabile nell’altra? La risposta non è nel destino cinico e baro, ma nelle scelte di due palazzi: la FITP di Angelo Binaghi e la FIGC di Gabriele Gravina.
Il “braccino” di San Siro: Anatomia di un fallimento
Partiamo dalle note dolenti. La sconfitta contro la Norvegia non è stata un incidente di percorso. È stata la certificazione di un’inferiorità strutturale. Gattuso, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, ha usato un termine tennistico per descrivere il crollo: “Ci è venuto il braccino”.
Ma il “braccino”, la paura di vincere, non viene per caso. Viene quando non hai certezze. L’Italia ha chiuso il girone seconda con 18 punti, staccata da una Norvegia (24 punti) che ha programmato la sua ascesa attorno a talenti veri. Noi ci siamo aggrappati alla speranza, al gol illusorio di Pio Esposito, per poi scioglierci come neve al sole alla prima difficoltà.
E ora? Ora ci aspettano i playoff. Di nuovo. Il sorteggio di Zurigo ci ha regalato un percorso da brividi nel Tabellone A.
Semifinale il 26 marzo 2026: tra Italia vs Irlanda del Nord (in casa).
Finale il 31 marzo 2026: la vincente tra Galles e Bosnia… da giocare in trasferta.
Dovremo giocarci il Mondiale in una gara secca a Cardiff o a Sarajevo. Un rischio calcolato? No, un rischio folle che poteva essere evitato se il nostro calcio non fosse avvitato su se stesso.
Il buco nero dei talenti: Dove finiamo dopo la primavera?
Il vero dramma del calcio italiano non è la sconfitta in sé, ma l’incapacità di produrre ricambi all’altezza. Mentre la Spagna lancia sedicenni titolari all’Europeo e al Mondiale, noi fatichiamo a trovare spazio per i ventenni in Serie A.
I dati sono impietosi. Il minutaggio degli Under 21 italiani nel nostro campionato è tra i più bassi d’Europa. I nostri giovani, che pure nelle categorie inferiori fanno bene (l’Under 19 e l’Under 20 mostrano lampi di talento, pur con risultati alterni ai Mondiali e Europei di categoria), quando arrivano alla soglia del professionismo spariscono in un buco nero.
Perché? Perché manca il coraggio e mancano le strutture.
Le seconde squadre (Under 23), che dovevano essere la panacea, sono state boicottate dalla politica sportiva. Nel 2025, solo tre club hanno una squadra B in Serie C: Juventus, Atalanta e, adesso, l’Inter. Tre su venti. Le altre società preferiscono mandare i ragazzi in prestito in Serie B o C, dove spesso marciscono in panchina perché gli allenatori devono salvarsi e preferiscono l’usato sicuro.
A questo si aggiunge l’effetto boomerang del Decreto Crescita. Abolito nel 2024, ha lasciato scorie pesanti: per anni abbiamo incentivato l’acquisto di stranieri mediocri perché costavano meno di un italiano. Ora che l’agevolazione non c’è più, i club non hanno improvvisamente iniziato a puntare sui vivai: hanno semplicemente smesso di spendere, senza avere un piano B.
Il modello tennis: Come si costruisce un campione (in fabbrica)
Spostiamoci ora sul pianeta felice. Il successo di Sinner non è un meteorite caduto per caso sulle Dolomiti. È la punta di diamante di un sistema industriale.
La FITP di Angelo Binaghi ha trasformato il tennis in una macchina da guerra (e da soldi).
Il segreto? I Challenger.
L’Italia è il Paese al mondo che organizza più tornei Challenger (la serie cadetta del tennis).
Perché è fondamentale?
Costi bassi: Un giovane tennista italiano può giocare 20-30 settimane l’anno senza dover prendere aerei intercontinentali, abbattendo i costi che spesso stroncano le carriere sul nascere.
Wild Card: La federazione gestisce gli inviti per questi tornei e li dà ai giovani più meritevoli. Un diciottenne italiano gioca contro i professionisti numero 100 al mondo due anni prima di un suo coetaneo francese o americano.
Sinner, Arnaldi, Cobolli, Musetti: sono tutti figli di questo sistema. Non hanno dovuto emigrare per diventare forti; hanno trovato l’America in provincia di Perugia o a Barletta.
A questo si aggiunge la visione mediatica: SuperTennis. Avere un canale in chiaro che trasmette tennis 24/7 ha creato cultura, passione e, soprattutto, sponsor. Il fatturato della FITP è esploso (oltre 170 milioni di euro), e quegli utili vengono reinvestiti nei centri tecnici periferici e nei contributi ai team privati dei giocatori. La Federazione non ti dice come giocare, ti dà i soldi per pagare il miglior coach possibile se dimostri di meritarlo. È la meritocrazia al potere.
Il Confronto Impietoso: Governance a Confronto
Mettiamo le due figure apicali una di fianco all’altra.
Da una parte Angelo Binaghi (FITP): un manager divisivo, talvolta ruvido, ma con una visione aziendale chiara. Ha preso una federazione moribonda e l’ha resa una multinazionale dell’intrattenimento. Ha portato le ATP Finals a Torino (e le ha confermate), ha decentralizzato la gestione tecnica e guarda ai numeri: fatturato, tesserati, vittorie.
Dall’altra Gabriele Gravina (FIGC): un politico abile, maestro del compromesso, ma ostaggio di un sistema paralizzato. Nonostante il disastro del mancato Mondiale 2022 (e il rischio 2026), la risposta è stata l’immobilismo. Si parla di riforme dei campionati da anni, ma ci si scontra con i veti della Lega Dilettanti o della Serie B. La FIGC sembra un ministero della Prima Repubblica: tanta burocrazia, poche decisioni, nessuna assunzione di responsabilità. Le dimissioni? “Non ho la cultura di scappare”, dice Gravina. Ma nel calcio, come nelle aziende, chi fallisce gli obiettivi di solito lascia.
Marzo 2026 è l’ultima spiaggia
Il calcio italiano è tecnicamente fallito? Forse no, perché l’Inter va in finale di Champions e l’Atalanta vince in Europa. Ma il sistema Italia è al collasso.
La differenza tra calcio e tennis oggi è tutta qui:
Il tennis ha capito che per vincere nel 2025 serve investire, rischiare e supportare il talento con le infrastrutture.
Il calcio spera ancora nel “Salvatore della Patria”, che sia Baggio, Spalletti o ora Gattuso, senza cambiare le fondamenta della casa che sta crollando.
A marzo 2026, contro l’Irlanda del Nord e poi (forse) a Cardiff o Sarajevo, ci giocheremo molto più di un Mondiale. Ci giocheremo la dignità di un movimento che, mentre guarda Sinner alzare coppe al cielo, rischia di passare le estati davanti alla TV per la terza volta consecutiva.
Sinner ha dimostrato che l’Italia può essere moderna, vincente e programmata. Il calcio ha quattro mesi per dimostrare di aver capito la lezione. Ma la sensazione, purtroppo, è che a Coverciano il segnale di SuperTennis non arrivi molto bene.
Giulio Ceraldi
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