La copertina dell’Herald

Per quasi tre decenni, il calcio scozzese è stato prigioniero di una narrazione crudele, quasi letteraria: il glorioso fallimento. È quella specifica forma di dolore sportivo in cui si gioca bene, si sfiora l’impresa, ma alla fine si perde, lasciando i tifosi con il cuore spezzato e un pugno di “se” e “ma”.
Ma la notte del 18 novembre 2025, sotto i riflettori di Hampden Park, quel copione è stato stracciato. Non con un gol fortunoso allo scadere, non con un catenaccio disperato, ma con un atto di pura, trascendente bellezza estetica.
La vittoria per 4-2 contro la Danimarca, che ha garantito alla Scozia il pass diretto per i Mondiali 2026, non sarà ricordata solo per il risultato. Sarà ricordata come la notte in cui Scott McTominay ha deciso di sospendere le leggi della fisica al terzo minuto di gioco.

L’anatomia di un miracolo

Tutto è iniziato con Ben Gannon-Doak. Il giovane esterno del Bournemouth, sceso in campo con un doppio cognome per onorare entrambi i genitori, ha danzato sulla fascia destra prima di lasciar partire un cross. Non era un pallone facile. Era alto, a scendere, destinato al cuore dell’area dove la densità di maglie danesi era soffocante.
Scott McTominay era spalle alla porta. In quel momento, la biomeccanica ha incontrato l’istinto. Senza guardare i pali, il centrocampista del Napoli si è catapultato in aria. Le stime ufficiose parlano di un impatto avvenuto a oltre 2 metri e mezzo di altezza, una coordinazione a forbice perfetta che ha spedito la palla nell’angolo basso, rendendo vano il tuffo di Kasper Schmeichel.
La reazione di McTominay dopo il gol racconta l’altra metà della storia. Non la rabbia agonistica, ma l’umanità. Le telecamere lo hanno sorpreso mentre cercava qualcuno sugli spalti, labiale inequivocabile: “Where’s my mum?” (Dov’è mia mamma?), prima di lanciarle un bacio. In un istante, l’eroe nazionale è tornato figlio, ancorando l’impresa erculea a una dimensione familiare toccante.
Steve Clarke, un uomo che solitamente dosa le parole come se costassero denaro, non ha avuto dubbi: “La migliore rovesciata che abbia mai visto”. E se lo dice lui, che ha costruito la sua carriera sulla concretezza difensiva, c’è da crederci.

Il caos, la paura e la follia

Se la partita fosse finita lì, sarebbe stata storica. Ma per esorcizzare veramente i fantasmi del passato, la Scozia doveva soffrire.
La Danimarca, ferita nell’orgoglio e guidata da un altro “napoletano” (compagno di squadra di Scott McTominay, nel Napoli appunto ndr), l’attaccante Rasmus Hojlund, ha reagito. Il rigore del pareggio di Hojlund e il successivo gol di Dorgu per il 2-2 all’82’ minuto sembravano aver riattivato la maledizione. Sul 2-2, la Scozia era ai playoff. L’incubo stava tornando.
Ma questa squadra, plasmata da Clarke per imbottigliare il dolore delle delusioni passate e usarlo come propellente, ha rifiutato di arrendersi. L’espulsione del danese Kristensen ha aperto una crepa e la Scozia ci si è infilata con una furia cieca.
I minuti di recupero sono stati pura allucinazione collettiva. Prima Kieran Tierney, un difensore che segna col contagocce, ha scoccato un tiro a giro degno di un numero 10. Poi, al 98′, l’apoteosi dell’assurdo: Kenny McLean, subentrato e a secco di gol da un anno e mezzo, ha visto Schmeichel fuori dai pali e lo ha beffato con un pallonetto dalla linea di metà campo.
Il difensore danese Joachim Andersen, livido di rabbia nel post-partita, ha definito quello di McTominay un “freak goal”, un’anomalia mostruosa che non si ripeterà mai più. Forse ha ragione. O forse non ha capito che quella sera la logica non era invitata.

Oltre il calcio: Dolore e rinascita

Dietro le quinte della festa, c’era un dolore silenzioso che dava peso a ogni contrasto. Il capitano Andy Robertson ha confessato solo dopo il fischio finale di aver giocato con il cuore a pezzi per la morte del suo ex compagno e amico Diogo Jota, scomparso tragicamente a luglio. “So che lassù sta sorridendo”, ha detto Robertson. La sua prestazione non era solo per la nazione, era una promessa mantenuta a un amico assente.
Questa profondità emotiva, unita alla classe sfacciata di McTominay e alla resilienza del gruppo, ci dice che la Scozia non andrà in Nord America nel 2026 solo per fare numero.
Per 28 anni, la Tartan Army ha aspettato. Ha guardato gli altri festeggiare. Ha collezionato gloriosi fallimenti. Ma quando l’arbitro ha fischiato la fine su quel 4-2, con il pallone di McLean che ancora rimbalzava nella rete, il messaggio è stato chiaro. La Scozia non ha solo vinto. Ha riscritto la sua storia con l’inchiostro indelebile della bellezza.
Come ha scritto Andy Murray sui social subito dopo la rovesciata: “What on earth was that.”
Era la Scozia, finalmente.

Giulio Ceraldi

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