
Il fischio finale a San Siro questo non ha sancito solo una sconfitta. L’1 a 4 incassato contro la Norvegia non è un incidente di percorso; è il conto, salato, che finalmente la realtà presenta a un sistema calcio in bancarotta tecnica, politica e morale.
L’illusione è durata undici minuti, il tempo di Pio Esposito, uno dei giovani che la nostra propaganda federale sventola come prova di vitalità, di segnare il gol del vantaggio. Poi, la realtà. Una realtà che ha il volto di Erling Haaland, un “top player” vero , di quelli che l’Italia non sa più produrre. Il crollo nella ripresa ci condanna, per la terza volta consecutiva, all’incubo dei play-off .
Ma mentre i tifosi vivono la “nemesi” degli spareggi , i responsabili di questo disastro sono già impegnati a spiegare perché non è colpa loro. L’analisi del fallimento non può che partire da loro: dal Commissario Tecnico e, soprattutto, dalla Federazione che lo ha messo lì.
“Andrò a vivere lontano”: Le scuse di un CT allo sbando
Di fronte al disastro, la comunicazione di Gennaro Gattuso è diventata un caso di studio sulla deviazione della responsabilità. Invece di un’analisi tecnica, abbiamo assistito a una caccia ai capri espiatori.
Prima, l’attacco al nuovo format dei Mondiali. La frase surreale sulle squadre africane – “nel 1994 c’erano due africane e adesso otto… non aggiungo altro” – è il manifesto di questa mentalità. È un’affermazione fattualmente errata: erano tre nel 1994 e saranno nove nel 2026. Ma è soprattutto una lamentela logicamente fallace: con il nuovo formato, l’Europa qualifica il 29% delle sue nazioni, l’Africa solo il 17% . L’Europa resta la più tutelata.
Non trovando appigli nel regolamento, Gattuso ha quindi attaccato i tifosi. Dopo la risicata vittoria in Moldavia, i fischi sono diventati “una vergogna”. Incolpare l’ambiente è più facile che spiegare perché si fatica contro una squadra che la Norvegia aveva battuto 11-1.
Infine, la personalizzazione del fallimento. Alla prospettiva della terza eliminazione, la risposta non è tecnica, ma un martirio personale: “Se fallisco vado a vivere ancora più lontano”. Questo approccio emotivo impedisce ogni dibattito lucido sulle vere cause del declino. Cause che risiedono più in alto.
L’uomo dell’”8,5″: Il fallimento politico della FIGC
L’atteggiamento di Gattuso non è che un riflesso della cultura della federazione. Mentre l’opinione pubblica identifica i vertici federali come i principali colpevoli della figuraccia mondiale, il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, vive in una realtà parallela. In una recente conferenza, ha definito il bilancio 2024 “particolarmente positivo”, auto-assegnandosi un voto di “8 o 8,5”.
Questo “8,5” si basa sui successi delle giovanili (U17 e U19), che però svelano solo l’ipocrisia del sistema. La stessa FIGC che celebra le vittorie U19 è quella che mantiene in vita le norme che impediscono a quei giovani di giocare.
Il caso più eclatante è il “Decreto Crescita”. Da un lato, Gravina ammette che è “lo strumento sbagliato” . Dall’altro, si batte per evitarne l’abolizione, sostenendo che altrimenti si “distruggerebbe il nostro campionato”. La verità è che quel decreto, che doveva portare top player, ha invece inondato la Serie A di calciatori di medio cabotaggio (giocatori stranieri mediocri) preferiti ai nostri giovani solo per ragioni fiscali. Il risultato? Il 74,8% dei gol in Serie A è segnato da stranieri .
Il talento sabotato: Se i giovani campioni non giocano
Ecco il paradosso. L’Italia vince a livello U19, ma quei campioni in campionato non giocano. Il talento si disperde perché manca il ponte tra il settore giovanile e la prima squadra.
L’unica vera soluzione strutturale, il progetto “Seconde Squadre” (Next Gen), è stato attivamente sabotato per un decennio. Il motivo? Puro. Per non scontentare presidenti influenti (come Lotito e De Laurentiis) che vi si opponevano per proteggere i loro interessi nelle “multiproprietà” (Salernitana e Bari).
E oggi? Per i pochi club che vorrebbero creare una seconda squadra, la FIGC ha eretto un muro economico: servono circa 1,2 milioni di euro a fondo perduto solo per l’iscrizione, più 6-7 milioni di costi operativi annui. È un sistema progettato per non funzionare.
La scomparsa del “numero 9”
La conseguenza di tutto questo la vediamo in campo. È la povertà tecnica disarmante dei nostri calciatori, specialmente nel ruolo di centravanti. La figura del “numero 9” italiano è inesistente da quasi 10 anni.
L’analisi statistica è impietosa. L’intero pacchetto offensivo che vinse l’Europeo nel 2021 aveva performance statistiche (per npxG) superiori a quelle del gruppo attuale. Oggi ci affidiamo a un oriundo (Retegui) e a un talento incostante (Scamacca).
L’ironia finale? I giocatori italiani più pericolosi sotto porta, secondo i modelli statistici, sono i centrocampisti d’inserimento come Frattesi e Fabbian. Abbiamo disimparato a formare attaccanti.
La sconfitta per 1-4 contro la Norvegia non è un caso. È la sintesi di un sistema che celebra successi giovanili che poi soffoca, che mantiene politiche fiscali autolesioniste e che è guidato da una governance che si auto-assolve con un “8,5” mentre la casa brucia. I play-off non sono una sfortuna. Sono una condanna meritata.
Giulio Ceraldi
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