
C’è una domanda che serpeggia con insistenza tra gli appassionati di calcio globale: la Serie A è diventata il campionato più noioso d’Europa? Per molti, la risposta è un sì quasi istintivo. Il nostro campionato si porta dietro una reputazione storica, quella di un calcio difensivo, speculativo e “cauto”.
Eppure, questa percezione vive in un palese e stridente paradosso. Se per “noia” intendiamo “prevedibilità”, la Serie A è oggettivamente uno dei tornei meno noiosi del continente. Negli ultimi quattro anni abbiamo visto quattro vincitori diversi. Ma soprattutto, a testimonianza di un equilibrio ritrovato, il Napoli è riuscito a conquistare due degli ultimi tre scudetti (2022/23 e 2024/25), interrompendo l’egemonia di Inter e Milan.
Come può, quindi, un campionato così competitivo e tatticamente sofisticato, capace di mandare sei squadre in finale europea in tre anni, essere etichettato come “noioso”?
La risposta è che la “noia” percepita non deriva da una scarsa qualità, ma da una profonda discrepanza tra il livello del calcio giocato e la forma in cui viene presentato. La Serie A non è “noiosa”, ma è “mal confezionata”. Il problema risiede in tre pilastri oggettivi: cosa vediamo in campo, come lo vediamo, e chi vediamo giocare.
Il prodotto in campo: Pochi gol e troppi fischi
Il metro più semplice per misurare il divertimento sono i gol. E qui, i numeri sono impietosi. Un’analisi di Sportradar sulla stagione 2024/25 ha posizionato la Serie A all’ultimo posto tra i primi cinque campionati europei per media gol a partita, con soli 2,56 gol. Un dato che impallidisce di fronte ai 3,14 della Bundesliga o ai 2,93 della Premier League.
Ma il problema non è solo cosa succede, ma come. Contrariamente alla credenza popolare, la Serie A ha il tempo di gioco effettivo più alto d’Europa: il pallone è in gioco per ben 61 minuti e 35 secondi. Perché allora sembra tutto così lento?
La colpa è della frammentazione. Il ritmo percepito è massacrato da una cultura “stop-and-start”. Gli arbitri italiani fischiano in media 28 volte a partita, contro le sole 22 della Premier League. A questo si aggiungono le “interminabili, estenuanti discussioni” che spezzano continuamente il ritmo.
Questo divario offensivo sembra continuare anche nella stagione 2025/26 appena iniziata. I primi dati sugli Expected Goals (xG) mostrano i top club europei come Real Madrid, Bayern Monaco e Arsenal generare un volume di occasioni da gol significativamente superiore a quello delle squadre italiane. La stessa partenza difficile in Champions League del Napoli campione in carica suggerisce un’intensità diversa rispetto agli altri campionati.
Il divario finanziario: L’assenza di “Star Power”
L’intrattenimento, oggi, è legato allo “star power”. Ma le stelle costano, e la Serie A non può più permettersele. La Premier League spende quasi il triplo della Serie A durante le finestre di mercato.
Questo declassamento economico ha trasformato la Serie A in una “lega di transito”. Per capire il divario, basta guardare chi viene premiato. Tra i “Top 3 attaccanti” della Serie A 2024/25 figuravano nomi come Moise Kean, Riccardo Orsolini e Mateo Retegui. Sebbene siano ottimi giocatori, non sono le icone globali come Kylian Mbappé o Erling Haaland, che guidano le classifiche marcatori 2025/26 e attirano da sole il pubblico internazionale.
La causa è un divario finanziario ormai incolmabile. Il report “Football Money League 2025” di Deloitte è allarmante: club di metà classifica inglese come Brighton e Crystal Palace registrano ricavi superiori a quelli di club italiani che partecipano regolarmente alle coppe europee, come Napoli e Roma.
Il vero baratro è sui diritti TV internazionali: in mercati chiave come il Medio Oriente (MENA), il prodotto della Premier League vale 26 volte di più di quello della Serie A.
Il “contenitore”: L’imbarazzo degli stadi obsoleti
Infine, il problema più visibile. Il calcio moderno è un prodotto televisivo, e la Serie A viene trasmessa da un “contenitore” fatiscente. L’età media degli stadi italiani è di 66 anni, con la maggior parte delle strutture ferme ai Mondiali del 1990.
Il presidente della UEFA, Aleksander Ceferin, ha usato parole durissime, definendo la situazione infrastrutturale italiana “una vergogna” e “di gran lunga la peggiore” tra le grandi nazioni calcistiche.
Questo ha un impatto visivo devastante. Una partita tatticamente sublime, se giocata in uno stadio grigio, semi-vuoto e con la pista d’atletica che allontana le telecamere, appare “lenta” e “distante” in TV.
L’ironia è che questo accade nonostante una passione locale incredibile. Nella stagione 2024/25, Milan, Inter e Roma erano tutte nella Top 10 mondiale per affluenza media di spettatori. I tifosi italiani rispondono presenti, ma la struttura non è in grado di “impacchettare” questa passione per un pubblico globale.
Un prodotto da salvare, non da sottovalutare
Il verdetto è chiaro. La “noia” della Serie A non è un mito, ma è una diagnosi complessa.
Non è un campionato “noioso” nel senso di prevedibile: il doppio trionfo del Napoli negli ultimi tre anni lo dimostra in modo inconfutabile. Non è “scarso”: la qualità tattica rimane d’élite, come dimostrano i ranking UEFA.
È, tuttavia, “mal confezionato”. È un prodotto di lusso (tattica, competitività, passione locale) venduto in una scatola rotta (gli stadi), con uno stile poco televisivo (pochi gol, ritmo spezzettato) e senza le “star” globali che il mercato richiede, perché semplicemente non può più permettersele.
Giulio Ceraldi
Forza Napoli. Sempre.
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