
Per 32 minuti, è la serata perfetta che ogni tifoso del Napoli sogna. Lo stadio è una bolgia, la squadra di Conte sta rispondendo colpo su colpo alle folate offensive nerazzurre e finisce per conquistare un calcio di rigore. Sul dischetto va Kevin De Bruyne, il faro del centrocampo. Il tiro è una sentenza, Sommer è spiazzato, la palla in rete. È l’apoteosi. Ma la gioia dura un istante, poi si trasforma in un gelido presagio. De Bruyne non esulta; si pianta su quella zolla di terreno, immobile, la mano stretta attorno alla parte posteriore della coscia destra, il volto una maschera di dolore e lacrime.
Mentre il belga esce dal campo sorretto dallo staff medico, la partita continua, ma qualcosa si è rotto. Il Napoli vincerà 3-1, una prova di forza impressionante, ma la serata si chiude con un altro bollettino medico: anche David Neres, uscito dal campo “visibilmente provato”, ha accusato un problema fisico. In una sola partita, la più importante, il Napoli perde due dei suoi uomini di maggior talento per infortunio muscolare.
Per chi ci legge, questa non è una sorpresa. È la drammatica e puntuale conferma di quanto avevamo analizzato nel nostro precedente articolo: il “rischio calcolato” del metodo Conte, prima o poi, presenta il conto. La notte di Napoli-Inter non è stata un incidente di percorso, ma la dimostrazione più crudele e lampante di una tendenza, di una ricorrenza che non può più essere ignorata.
Anatomia di un doppio KO: Due storie, la stessa origine
Analizzare gli infortuni di De Bruyne e Neres nella stessa partita significa guardare in faccia la conseguenza diretta di una filosofia che spinge i corpi al limite. Non sono due episodi sfortunati, ma due facce della stessa, logica, medaglia.
Kevin De Bruyne: Il vaso di cristallo va in frantumi
L’infortunio di De Bruyne è quasi una sceneggiatura già scritta. Il problema ai flessori della coscia destra, accusato nel gesto più esplosivo del calcio, il tiro, è l’eco di un passato che tormenta il giocatore. Il belga, infatti, ha una storia clinica segnata da una fragilità cronica proprio in quella zona del corpo. L’episodio più celebre risale alla finale di Champions League del 2023, quando, dopo aver giocato per due mesi con delle micro-lesioni, il suo tendine del ginocchio cedette di schianto (“the hamstring just snapped”).
Il suo infortunio contro l’Inter non è un fulmine a ciel sereno, ma la rottura di un punto debole noto, sollecitato fino al collasso. Le metodologie di Conte, basate su un’intensità feroce, hanno agito come un test di stress su un materiale già incrinato. La beffa finale, quasi a sottolineare il paradosso, è il retroscena secondo cui sarebbe stato proprio Conte a insistere affinché fosse De Bruyne a calciare quel rigore, nonostante tutto. Un rischio nel rischio, che si è trasformato in una certezza: la lesione.
David Neres: Il sacrificio del soldato fuori ruolo
La serata da incubo del Napoli si completa con lo stop di David Neres. Il brasiliano, uscito malconcio dalla sfida, si è fermato per un problema muscolare che andrà valutato. Anche nel suo caso, la ricorrenza è un fattore chiave: la sua carriera è stata costellata da continui stop muscolari che ne hanno limitato il potenziale.
Ma contro l’Inter c’è un’aggravante tattica decisiva. A causa dell’assenza di Højlund e del periodo non esaltante di Lucca, Conte lo ha schierato come “falso nove”, un centravanti atipico. Questo cambio di ruolo ha imposto a Neres, un’ala abituata a sprintare negli spazi aperti, un lavoro completamente diverso: giocare spalle alla porta, lottare con i difensori centrali, fare movimenti brevi ed esplosivi nel traffico. Un compito di enorme sacrificio fisico per un giocatore che, come De Bruyne, ha una struttura muscolare fragile.
L’infortunio di Neres è quindi il prodotto di un effetto a catena: l’emergenza infortuni già esistente ha costretto l’allenatore a una scelta tattica che ha messo sotto uno stress anomalo un altro giocatore a rischio, causandone la prevedibile rottura.
Il rischio calcolato: Quando la ricorrenza diventa sistema
Come avevamo già sottolineato, il metodo Conte si fonda su una preparazione fisica estrema, quasi militare, che mira a costruire una superiorità atletica schiacciante. Questo approccio, se da un lato porta a risultati evidenti in termini di mentalità e prestazioni, dall’altro espone i giocatori a un rischio costante di infortuni muscolari.
La doppia caduta contro l’Inter è la prova definitiva che questo non è un rischio, ma una quasi certezza, specialmente quando si applica a giocatori con una storia clinica come quella di De Bruyne e Neres. La ricorrenza dei loro problemi muscolari non è una coincidenza, ma la spia di una vulnerabilità che un sistema così esigente non può far altro che portare a galla, spesso nel modo più brutale.
La vittoria contro l’Inter ha mostrato entrambi i lati della medaglia contiana: una squadra capace di dominare tatticamente e mentalmente un avversario diretto per lo scudetto, ma che per farlo deve pagare un prezzo altissimo in termini di integrità fisica dei suoi uomini più talentuosi.
Il Napoli esce dalla sfida con l’Inter con tre punti pesantissimi e la vetta solitaria della classifica, ma con l’infermeria piena e due certezze in meno per le prossime, cruciali, settimane. La serata del Maradona ci lascia con una domanda amara, la stessa che aleggiava già dopo il nostro precedente articolo e che ora risuona come un allarme: fino a che punto il gioco vale la candela?
Gli infortuni in serie non sono più un’anomalia, ma appaiono come una componente strutturale del progetto tecnico. La vittoria contro l’Inter è stata esaltante, ma mutilata. E ora, mentre ci godiamo il primato, non possiamo fare a meno di chiederci quale sarà il prossimo pezzo pregiato a pagare il prezzo del “rischio calcolato” del Comandante.
Giulio Ceraldi
Forza Napoli. Sempre.
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