Matteo Politano

Il fischio finale è stato una liberazione. Mentre il Philips Stadion esplodeva in un coro di celebrazioni deliranti per una storica notte europea, i giocatori del Napoli erano immobili, i loro volti un misto di shock e vergogna. Il tabellone era una condanna: PSV Eindhoven 6, Napoli 2. Per i campioni d’Italia in carica questa è stata più di una sconfitta; è stato uno smantellamento pubblico, una batosta brutale che ha messo a nudo ogni crepa nella formidabile facciata di Antonio Conte.
Non è stata una gara combattuta decisa da un momento di magia. È stata una capitolazione completa e totale. Dopo essere passata in vantaggio, una squadra descrivibile stasera come “irriconoscibile” si è semplicemente disintegrata. Hanno ceduto il loro vantaggio, la loro disciplina e la loro dignità in un’implosione caotica di sette minuti che si è trasformata in una resa totale nel secondo tempo. Come ha fatto una squadra di questo calibro, guidata da uno dei tattici più rispettati al mondo, a crollare in modo così spettacolare? La risposta è una cascata di fallimenti — tattici, tecnici e psicologici — iniziata molto prima del calcio d’inizio.

I segnali c’erano tutti

Il disastro di Eindhoven non è stato un fulmine a ciel sereno; è stata la violenta eruzione di un vulcano a lungo dormiente. I segnali erano sotto gli occhi di tutti.
Il Napoli è arrivato nei Paesi Bassi già azzoppato da una paralizzante crisi di infortuni. Giocatori chiave come Rasmus Hojlund, Amir Rrahmani e Stanislav Lobotka erano tutti fuori causa, costringendo Conte a schierare una formazione improvvisata. A questo si aggiungeva una preoccupante tendenza a un rendimento negativo in trasferta in Europa, con questa sconfitta che ha segnato la terza consecutiva fuori casa in Champions League.
Forse l’indizio più eloquente è arrivato dallo stesso Conte prima della partita. Ha ammesso apertamente che la sua squadra non era una “macchina ben oliata” pronta per una guerra su più fronti tra Serie A ed Europa. Ha indicato le fragilità difensive e i rischi del loro stile basato sul possesso palla, ammettendo di subire più gol rispetto alla stagione precedente. A posteriori, le sue parole non erano quelle di un allenatore che modera le aspettative, ma una cupa profezia del crollo imminente.

L’implosione in sette minuti

Per trenta minuti, sembrava che il Napoli potesse resistere alla tempesta. Il loro piano di gioco — assorbire la pressione e colpire in contropiede — ha funzionato alla perfezione quando Scott McTominay si è elevato per insaccare di testa un cross di Leonardo Spinazzola. È stato un gol potente e preciso che avrebbe dovuto essere la base per una prestazione professionale e controllata.
Invece, ha innescato la sequenza di autodistruzione.
Appena quattro minuti dopo, è subentrato il panico. Un innocuo cross del PSV è arrivato in area e il difensore Alessandro Buongiorno, in un momento di pura follia, si è lanciato in un colpo di testa in tuffo che ha superato il proprio portiere. È stato un errore catastrofico, che ha frantumato la fragile compostezza del Napoli.
Una squadra campione si sarebbe ricomposta. Il Napoli è crollato. Tre minuti dopo l’autogol, un attacco del Napoli è stato interrotto e il PSV ha lanciato un contropiede fulmineo. Il centrocampista Ismael Saibari ha corso incontrastato dalla propria metà campo mentre il centrocampo del Napoli svaniva, insaccando freddamente il pallone per portare il PSV sul 2-1.
Nello spazio di sette minuti, una posizione di forza si era trasformata in una crisi conclamata. La partita era, a tutti gli effetti, persa.

Dal caos alla disfatta

Se il primo tempo è stato un rapido crollo, il secondo è stata una lenta e agonizzante resa. Non c’è stata alcuna reazione, nessuna mossa tattica magistrale dalla panchina. Gli errori difensivi sono continuati, con Billy Gilmour che ha quasi regalato un gol al PSV con un terribile retropassaggio di testa poco dopo l’inizio della ripresa.
L’inevitabile terzo gol è arrivato al 54° minuto, e la partita è passata da una pesante sconfitta a una vera e propria disgrazia al 76°. Frustrato dopo un fallo fischiatogli contro, l’attaccante Lorenzo Lucca si è rivolto all’arbitro e ha fatto un gesto verso la testa. L’arbitro lo ha interpretato come un insulto e ha estratto un cartellino rosso diretto. È stato un atto di pura stizza, simbolo di una squadra che aveva perso completamente la testa.
In dieci uomini, si sono aperte le cateratte. Il PSV ha “travolto” gli avversari demoralizzati, aggiungendo altri tre gol negli ultimi dieci minuti. Un secondo colpo di testa di McTominay è stato un solitario atto di sfida in un mare di resa, un gol che è servito solo a evidenziare la mancanza di combattività dei suoi compagni.

Le conseguenze: una squadra in crisi d’identità

Le ripercussioni di questa umiliazione saranno gravi. Antonio Conte, un allenatore la cui reputazione è costruita sulla disciplina e sulla solidità difensiva, ha visto la sua squadra non mostrare nessuna di queste qualità. I giocatori, con la sola eccezione dell’eroico McTominay, hanno offerto prestazioni ben al di sotto dello standard atteso da un club europeo di alto livello.
Il risultato è un colpo durissimo per le speranze del Napoli in Champions League. La vittoria ha proiettato il PSV davanti a loro nella nuova fase a girone unico, e il -4 di differenza reti è una battuta d’arresto catastrofica in un formato in cui ogni gol conta.
Gli echi di Eindhoven perseguiteranno questa squadra. Il danno alla loro classifica europea è quantificabile, ma le cicatrici psicologiche potrebbero essere più profonde. Questa è stata più di una sconfitta; è stato un avvertimento. Senza un cambiamento immediato e profondo di mentalità, organizzazione e leadership, la stagione del Napoli rischia di andare completamente in fumo.

Giulio Ceraldi

Forza Napoli. Sempre.

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