“L’urlo” di Edvard Munch – 1893

Lo sport e il calcio in particolare, come fenomeno globale, incarna valori universali di lealtà, inclusione e superamento. Ma in momenti di gravi crisi umanitarie, come quella in atto a Gaza, la sua responsabilità va oltre il campo da gioco. Di fronte alla sofferenza di decine di migliaia di bambini, donne e popolazione inerme, la comunità sportiva non può e non deve voltare le spalle. L’indignazione per la perdita di vite innocenti deve essere univoca e incondizionata, superando ogni barriera ideologica, politica o di fazione.

L’umanità come regola fondamentale

Il dramma umanitario che si consuma in contesti come quello di Gaza, dove i civili sono le principali vittime di fame, privazioni e violenza, richiede una presa di posizione chiara: l’umanità deve prevalere su qualsiasi altra considerazione. Quando i soggetti a soccombere sono persone incolpevoli – i più vulnerabili come i bambini – non c’è spazio per l’ambiguità o il silenzio dettato da calcoli politici o economici.

Lo sport, con la sua eccezionale visibilità e influenza, ha il dovere morale di utilizzare la sua piattaforma per:

Sensibilizzare. Portare alla luce la gravità della situazione, informando il vasto pubblico di appassionati sulle condizioni disumane subite dalla popolazione civile.

Mobilitare. Incoraggiare la raccolta fondi e il sostegno logistico a favore delle organizzazioni umanitarie che operano sul campo (come Croce Rossa, Save the Children, Emergency, ActionAid, spesso supportate anche attraverso iniziative sportive).

Creare ponti. Utilizzare l’inclusività dello sport come strumento di unione e pace, anche in un contesto di conflitto, come dimostrato da iniziative che coinvolgono sportivi e giovani rifugiati.

Il potere trasformativo del calcio

Il calcio, lo sport più seguito al mondo, è un potente veicolo di messaggi. Ogni partita, ogni maglia, ogni stella globale è un megafono. La sua risonanza può trasformare il dolore in azione concreta.

Se da un lato il mondo dello sport deve evitare di essere strumentalizzato per scopi politici, dall’altro non può esimersi dall’agire in nome dei diritti umani fondamentali. Un pallone rotola su un campo non perché ignora la realtà, ma perché incarna la speranza di un futuro in cui le persone possano competere pacificamente.

Nelson Mandela diceva: “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose fanno. Parla una lingua che tutti capiscono.”

Questo potere non può essere messo a tacere quando la stessa vita delle persone è negata. Un minuto di silenzio, una fascia al braccio, un’iniziativa benefica mirata: sono gesti che, se sinceri e universali, possono fare la differenza, ricordando che la vera vittoria è quella dell’umanità.

Oltre la bandiera: L’etica sportiva

La neutralità dello sport è un valore prezioso, ma non può tradursi in indifferenza di fronte alle atrocità. L’etica sportiva, che promuove il fair play e il rispetto, dovrebbe estendersi anche al contesto sociale e globale.

L’indignazione per le vittime inermi a Gaza non è un atto politico, ma un imperativo morale. Riconoscere che la sofferenza di un bambino è inaccettabile, indipendentemente dal luogo o dal conflitto, è il minimo che la grande macchina dello sport possa fare. In questo momento cruciale, il mondo del calcio e dello sport in generale è chiamato a dimostrare che i suoi valori di fratellanza e solidarietà non sono semplici slogan, ma principi attivi che guidano le sue azioni nel mondo reale.

Il silenzio è complicità. L’azione, anche simbolica, è un richiamo all’umanità di cui tutti, atleti, club, federazioni e tifosi, sono parte.

Giulio Ceraldi

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