Il buco nero

Italia Under 20: finalista del Mondiale di categoria con Casadei (21 anni, Chelsea) capocannoniere e miglior giocatore della competizione.
Italia Under 19: campione d’Europa in carica; a luglio gioca l’Europeo di categoria per difendere il titolo. 
Italia Under 17: campione d’Europa in carica.

Casadei, Fabbian, Scalvini, Gnonto, Vignato, Hasa, Koleosho, Pafundi, Baldanzi, Camarda, Cisse, Cama, Liberali. Sono i giovani delle succitate nazionali che tutta Europa ci invidia.

Poi guardi la nazionale maggiore, l’ultimo terminale, il più prestigioso, e ti accorgi che da qualche parte c’è un corto circuito, qualcosa che non va.

Noi siamo il Paese dove si mandano i ventitreenni “a fare le ossa”.
Poi arriva il calcio che conta e i ragazzini terribili della Spagna ci fanno vedere i sorci verdi, la sonnecchiosa Croazia ci controlla agevolmente con uno striminzito gol di vantaggio fino a sette secondi dalla fine e dove una squadra tecnicamente migliore ma soprattutto motivata ci schiaccia nella nostra metà campo per tre quarti del match per poi lasciar spazio al nostro sterile possesso palla dopo averci rifilato due gol (sto parlando ovviamente della Svizzera).
Potremmo ancora menzionare il tedesco Musiala, tra i ragazzini terribili di questo Europeo ma è inutile.

L’Italia è un Paese refrattario a lasciar spazio ai giovani. Non solo nel calcio.

Come dice sempre il mio amico Gianni Gardon, grande esperto di calcio giovanile tout court, ai giovani calciatori italiani non è permesso di sbagliare, quindi si preferisce mandarli in prestito nelle serie inferiori o in squadre comunque di “basso cabotaggio”. E quando gli si da la chance spesso (proprio in virtù della cultura “tolleranza zero”) li si carica di una pressione talmente enorme da indurli ad esprimersi poco e male.

Insomma un disastro.

Eppure veniamo da due qualificazioni mondiali fallite e da un europeo precedente a questo vinto più episodicamente che come coronazione di un percorso trionfale di anni.

Ora nell’occhio del ciclone c’è lui, Luciano Spalletti. Non che l’ex allenatore del Napoli abbia zero responsabilità in questo ennesimo nubifragio, tra convocazioni “conservatrici”, squadre messe in campo non proprio con cognizione di causa e sostituzioni che definire lunari, tardive e, spesso, inutili è un eufemismo.

Ma se alziamo lo sguardo al di là del nostro naso sappiamo che il Commissario Tecnico è il terminale ultimo di tutto un movimento calcistico che fa acqua da tutte le parti e che usa le vittorie occasionali come foglie di fico per celare le miopie progettuali e la regolare umiliazione della cultura del merito a favore degli interessi di palazzo.

E intanto Gravina, quello della Juventus come valore aggiunto del calcio italiano, all’indomani della riduzione dei punti di penalizzazione, sta sempre là.

Giulio Ceraldi

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